Da «profondamente preoccupato» a indifferente. L’Onu lancia l’allarme sui massacri che si stanno consumando nella regione del Tigray, ma non rilascia nessuna dichiarazione sulla presunta epurazione degli etiopi che vestono il casco blu. Secondo un reportage del giornale online francese “Mediapart”, molti dei soldati impegnati nel corno d’Africa originari del Tigray e arruolati nelle forze armate delle Nazioni Unite sarebbero stati arrestati dall’esercito eritreo a supporto delle truppe  di Addis Abeba, per poi essere stati torturati e uccisi. L’Onu, per ora, non ha smentito né confermato la notizia, ma ha creato una task force per gestire la situazione che non sembra, per ora, dare risultati concreti.

Il conflitto – L’esercito dell’Onu è impegnato nella regione di Macallè dove si combattono, in una cruenta guerra civile, l’esercito federale etiope, supportato dalle forze armate eritree, e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Fltp). L’ultima offensiva militare è stata lanciata il 4 novembre 2020 dal governo guidato dal Premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali contro le forze dei ribelli tigrini. Durante lo scontro alcuni caschi blu originari della regione contesa e parte della Unmis, la missione di pace della Nazioni Unite in Sud Sudan, sarebbero stati allontanati con forza dal loro contingente. Lo stesso sarebbe accaduto agli etiopi della Unisfa, la missione dedicata alla regione dell’Abey oggetto di contesa tra Sudan e Sud Sudan.

Le violenze – Negli ultimi mesi sarebbero numerosi i caschi blu tigrini arrestati durante le missioni di pace, per essere trasferiti, su aerei delle Nazioni Unite, a Juba, la capitale del Sud Sudan. Da lì il loro viaggio sarebbe proseguito, senza che l’Onu ne fosse al corrente, verso l’Etiopia, dove avrebbero subito violenze e, in alcuni casi, trovato la morte. La Unmis, interpellata da “Il Fatto Quotidiano” sulla vicenda, ha declinato ogni responsabilità: «Il mandato si limita al Sud Sudan. L’Etiopia è sola responsabile della condotta delle sue truppe». La voce sulle atrocità riservate ai caschi blu in arrivo ad Addis Abeba si è presto sparsa tra i contingenti dell’Onu. Ma i tentativi estremi di salvarsi sono spesso inutili. Secondo Fanny Pigeaud, giornalista autore del reportage, il 22 febbraio alcuni soldati tigrini dell’Onu a Juba si sarebbero rifiutati di imbarcarsi sull’aereo diretto in Etiopia, scatenando una violenta rissa. Solo tredici sarebbero riusciti a restare a terra chiedendo l’asilo. Gli altri, nonostante il timore di essere vittime di ripercussioni in patria, sarebbero stati obbligati a salire sull’aereo.

Le sparizioni – Più di frequente dei soldati Onu, colpevoli di essere originari della regione ribelle, si sono semplicemente perse le tracce. É questo il caso del generale Negassi Tikue Lewte, nato in Tigray e numero due della Unisfa. Di lui si sa che ha lasciato improvvisamente il suo incarico nel novembre 2020. Da allora nessuno l’ha più visto. Alcuni ufficiali parlano di una vacanza, altri lo additano come disertore. «Il generale Lewte ha chiesto un permesso nel novembre 2020, che gli è stato accordato – fa sapere oggi l’Onu – Da allora non si è più presentato al lavoro. Siamo molto preoccupati per la sua sicurezza».