C’era una volta la stabilità. Il principio-cardine della politica e dell’economia tedesche, ricercato in maniera quasi ossessiva, da ieri sembra improvvisamente evaporato nei cieli di Berlino. La cancelliera uscente Angela Merkel, già indebolita da una vittoria dimezzata alle elezioni dello scorso 24 settembre, si è scoperta improvvisamente fragile, vulnerabile alle richieste contraddittorie di partiti diversi, come in una qualsiasi democrazia «instabile» del Sud Europa. Dopo il rifiuto di verdi e liberali di acconsentire alla formazione di una coalizione di governo con la sua Cdu/Csu, Merkel non ha potuto far altro che prendere atto della situazione di stallo e presentarsi a mani vuote, dopo quasi due mesi dal voto, di fronte al presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier. Una débacle resa ancora più amara, nella serata di lunedì 20, dalla notizia inattesa della bocciatura di Francoforte come nuova sede dell’Agenzia europea sulle banche (Eba) decretata dal Consiglio dell’Unione europea riunito a Bruxelles.
Il naufragio dei negoziati
Molti, nei media come nella politica tedesca, avevano dato per scontata la formazione di un nuovo governo a guida Merkel, all’indomani delle elezioni, sulla base di una piattaforma di coalizione color “Giamaica”, ossia di un’alleanza tra i neri (solo simbolicamente) dei cristiano-democratici della Cdu/Csu, i gialli dei Liberali (Fdp) guidati dall’ambizioso Christian Lindner e i Verdi di Cem Özdemir. Un accordo che avrebbe garantito a Merkel, pur uscita indebolita dalle elezioni con 65 seggi in meno rispetto alla precedente legislatura, una maggioranza solida di quasi 400 voti su 705. Una previsione troppo ottimista, che sopravvalutava forse le capacità di mediazione della cancelliera in un’arena politica fattasi più complessa e frammentata. A prevalere, dopo settimane di estenuanti trattative, è stata infine la chiusura reciproca degli spiragli di dialogo tra Verdi e Liberali, lanciati in campagna elettorale su piattaforme politiche quanto mai distanti su temi come l’accoglienza dei migranti, l’energia o la politica europea. A decretare il fallimento delle trattative è stato lo stesso leader Fdp Lindner con parole dure: «I quattro partner della discussione non hanno una visione comune per la modernizzazione del Paese né una base di reciproca fiducia». A questo punto, la chiosa dei Liberali, «meglio non governare che governare male».
I dubbi del presidente
A guidare l’inedita fase di instabilità politica per la Germania – che dal 2005 è governata ininterrottamente da Angela Merkel, nell’ultima legislatura col sostegno della Grosse Koalition Cdu/Spd – sarà ora Frank-Walter Steinmeier, il politico socialdemocratico eletto presidente della Repubblica lo scorso marzo proprio sulla base di un accordo di ferro tra i due grandi partiti storici della Germania. Sessantuno anni, già vice-cancelliere e ministro degli Esteri, Steinmeier ha subito messo in chiaro ai partiti la sua visione, interpretando probabilmente il sentimento condiviso dalla maggior parte dei tedeschi: no a elezioni anticipate e ricerca ostinata di un accordo di governo. Una linea tanto chiara quanto problematica. L’addio di Verdi e soprattutto Liberali al tavolo dei negoziati è suonato come un’autentica stroncatura di ogni ulteriore mediazione, non come una presa di posizione tattica: l’impressione è che alcuni tra i leader più giovani già si preparino ad una nuova tornata elettorale in cui massimizzare il proprio successo. Le altre ipotesi sul tavolo del presidente non sembrano di più facile realizzazione. Steinmeier, per anni fautore di una linea «realista» all’interno dell’Spd per la quale è stato al governo a fianco di Merkel, non ha nascosto la sua reale preferenza: quella per un ritorno di fiamma tra cristianodemocratici e socialdemocratici capace di garantire al Paese nuovamente una maggioranza di larghe intese. Ma alla guida dell’Spd c’è dall’inizio dell’anno quel Martin Schulz che fin dalla sera stessa dalle elezioni ha chiuso la porta ad ogni possibile riedizione dell’alleanza con Merkel. «Ha perso il 14% dei voti – ha dichiarato l’ex presidente del Parlamento europeo in riferimento alla cancelliera – e saranno gli elettori a dover decidere cosa fare». Un risiko che sembra inevitabile per Schulz, uscito malconcio dalle elezioni e i cui progetti di centro-sinistra rischierebbero di venire ulteriormente risucchiati in un governo di coalizione con gli avversari di sempre. Nell’Spd, a ben vedere, non mancano le «colombe» favorevoli all’apertura di una trattativa seguendo il volere di Steinmeier: ma finché il pallino politico resta nelle mani di Schulz, pare difficile intravvedere un cambio di rotta. L’ultima carta in mano al presidente, almeno in linea teorica, potrebbe essere quella della formazione di un governo di minoranza: un esecutivo guidata dalla sola Cdu, o in accordo con un solo altro partito, che andrebbe a cercarsi i voti provvedimento per provvedimento in Parlamento. Una prospettiva inedita per la Germania, non escluso dagli osservatori in queste ore, ma che difficilmente reggerebbe comunque per l’intera legislatura.
L’incubo spagnolo
Ultimo dei desideri di Steinmeier, tanto quanto delle imprese e dei cittadini tedeschi, lo scenario di nuove elezioni rappresenta dunque uno spauracchio tutt’altro che remoto. Più dei problemi in sè che potrebbe portare un periodo di vacatio politica – altri casi simili in Belgio o Spagna hanno dimostrato l’assenza di grandi danni all’economia per i Paesi con un governo in regime di prorogatio – le istituzioni tedesche respingono l’idea stessa di restare nel limbo del’instabilità. Eppure se ogni altra trattativa dovesse fallire, per il Paese non ci sarà alternativa. Prima però a Merkel spetterà l’onere di presentarsi comunque davanti al Parlamento per verificare l’assenza di ogni maggioranza. Il sistema tedesco, forse troppo mitizzato qualche centinaio di chilometri più a sud come àncora di stabilità, prevede infatti che il presidente della Repubblica incarichi il leader più credibile di andare al Bundestag per ben due volte per trovare il supporto necessario sulla base di un programma di governo. Solo al fallimento del terzo tentativo, Steinmeier potrà (dovrà) indire nuove elezioni. Una cosa è comunque certa: Il rebus tedesco non sarà risolto prima della fine del 2017.