I media sono con Hillary, ma hanno parlato soprattutto di Donald. Dei 100 maggiori quotidiani americani, ben 80 hanno espresso il loro sostegno alla candidata democratica. Tuttavia, a fare notizia è soprattutto il repubblicano, il cui nome compare in più del doppio dei titoli.
Gli endorsement della stampa a un candidato sono un fenomeno tutt’altro che inedito negli Stati Uniti, ma in occasione di queste elezioni alcuni media hanno offerto indicazioni di voto in controtendenza rispetto al passato. Non stupisce l’appoggio del New York Times e del Washington Post, tradizionalmente liberal, all’ex segretario di Stato: in un editoriale del primo, Trump è stato definito «il peggior candidato mai nominato da uno dei due partiti principali nella storia moderna dell’America», mentre per il secondo «non merita di stare nell’Ufficio Ovale». Altri due importanti giornali di New York, il Daily News e il Newsday, e due texani, il Dallas Morning News e lo Houston Chronicle, hanno cambiato colore: nel 2012 sostenevano il repubblicano Mitt Romney, oggi sono con Clinton. In tutto, sono 500 le testate che fanno il tifo per l’ex first lady.
Il quotidiano più diffuso dell’intera nazione, Usa Today, non aveva mai espresso una preferenza: quest’anno ha invitato i suoi lettori a votare chiunque eccetto «The Donald». Il Chicago Tribune, che quattro anni fa spingeva per Obama, è uno dei 9 giornali che sostiene il libertario Gary Johnson. Con Trump – che ha spesso accusato i giornalisti di essere disonesti – ci sono 25 pubblicazioni: il più letto è il Las Vegas Review-Journal, di proprietà di Sheldon Adelson, magnate dei casinò, ma c’è anche il Crusader, testata ufficiale del Ku Klux Klan.
Quanta influenza possono esercitare gli endorsement della carta stampata? Nel 2008, il professore Brian Knight della Brown University sosteneva che circa il 5% dei lettori può essere persuaso a cambiare idea, soprattutto se il sostegno proviene da un giornale che va in controtendenza rispetto alla sua tradizione. Siamo però nel 2016, anno in cui solo il 5% degli americani adulti ritiene che la stampa sia il medium che offre maggiore aiuto nella scelta elettorale, contro il 24% che predilige la tv via cavo e il 14% che si fida soprattutto dei social media. E su Twitter, prima che gli account di giornali e televisioni, sono stati i profili dei candidati ad esercitare maggiore influenza con i loro cinguettii che hanno dettato l’agenda dei media tradizionali.
Al contempo, alcune inchieste giornalistiche hanno introdotto nel dibattito degli elementi che potrebbero risultare decisivi. È stato un giornalista, David Farenthold del Washington Post, a ripescare la registrazione del 2005 in cui Trump si vantava di poter disporre a suo piacimento del corpo delle donne. E sono stati i giornalisti del New York Times a procurarsi i documenti che hanno dimostrato come il tycoon avesse eluso per anni le imposte federali.