Raccontare la guerra e raccontarla bene. Alcuni degli appuntamenti del festival del giornalismo di Perugia non potevano non fare il punto su come l’informazione descrive la guerra oggi e com’è cambiato il modo di coprire mediaticamente i conflitti. L’attuale panorama italiano e un contesto internazionale sempre più confuso sono il punto di partenza per capire come viene fatta oggi l’informazione. La discussione ha messo in luce nuove sfide per i giornalisti, ma restano tre elementi tradizionali imprescindibili dalla professione: la verifica delle fonti, l’esperienza e la presenza sul campo.
Tra gli elementi di novità, l’attore più ingombrante sulla scena è sicuramente il mondo dei social network. ‹‹Oggi i social -spiega Lucia Goracci di Rai News 24 – pongono una sfida sostanziale per i media››. Una prima difficoltà è data dall’enorme quantità di dati e informazioni prodotti da Twitter e Facebook. Aine Kerr, co-fondatrice di Storyful, compagnia che vende contenuti informativi generati dagli utenti e poi verificati, spiega come, nonostante la novità del mezzo, viene comunque sempre utilizzato un processo rigoroso di verifica delle fonti. Un altro elemento di novità è rappresentato dalla necessità che giornalisti professionisti e citizen journalists collaborino attivamente nel raccontare gli eventi.
Confermato, invece, il ruolo dell’esperienza come filtro. ‹‹Oltre agli strumenti e alla tecnologia serve però anche l’esperienza e la pazienza. – Spiega ancora Goracci – Bisogna sempre avere saggezza ed esperienza, anche mestiere, per bilanciare la grande quantità di informazioni che fornisce la rete››.
Qual è dunque il ruolo dell’inviato? Daniele Raineri, reporter di guerra de Il Foglio, non ha dubbi: ‹‹L’inviato serve ancora tantissimo. Io mi sono reso conto che c’è una guerra anche nella definizione stessa di conflitto e quindi serve qualcuno che verifichi quello che succede››. Ovviamente è necessario raccontare e recarsi in un luogo in condizioni di totale sicurezza, spiegano Clark Bentson, giornalista di ABC News, e Christopher Prentice, ambasciatore britannico in Italia. Proprio la sicurezza rappresenta il tema più importante nella copertura dei conflitti, anche perché negli anni è cambiata la figura del giornalista. Per Amedeo Ricucci del TG1, oggi il giornalista non ha più il primato dell’informazione e è diventato un obiettivo, un target che fa più notizia se viene ucciso. Ecco perché è cambiato anche il modo di andare in guerra, racconta ancora Raineri: ‹‹ La grande differenza tra il 2007 e oggi è che adesso bisogna mimetizzarsi, non c’è più la pettorina con scritto “Press”. Bisogna essere quasi invisibili, dai vestiti fino al cellulare››.
Alberto Bellotto e Alessia Albertin