Un salto nel vuoto? Sicuramente un cambio di passo. L’Argentina muta volto e sceglie Javier Milei. Nel secondo turno delle elezioni presidenziali, l’economista ultraliberista dalle lunghe basette, con quasi il 56% dei voti e oltre 11 punti di scarto, ha superato il candidato di centrosinistra, l’attuale ministro dell’Economia Sergio Massa, e si è candidato a guidare il Paese per i prossimi quattro anni, prendendo il posto del presidente uscente Alberto Fernández. Quarant’anni dopo la fine della dittatura militare (le prime elezioni democratiche si sono tenute il 30 ottobre del 1983), Milei si insedierà il prossimo 10 dicembre e prenderà in mano un Paese che vive una crisi economica senza precedenti, con un tasso d’inflazione del 142% e un debito pubblico da 419 miliardi di dollari.

I due candidati – Il candidato peronista Sergio Massa ha riconosciuto la sconfitta quando i dati ufficiali non erano ancora stati diffusi (in Argentina gli exit poll sono vietati). «Mi sono felicitato con Milei e gli ho augurato buona fortuna. Da domani la responsabilità di garantire il funzionamento sociale, politico ed economico del Paese è del presidente eletto», ha detto il candidato di Unione per la patria, sconfitto per la seconda volta alle presidenziali (la prima aveva perso contro Macri). «Viva la libertad, carajo!». Alle 22:30, le 2:30 italiane, Javer Milei si è concesso all’abbraccio dei suoi sostenitori, accorsi con magliette della Selección argentina (la nazionale di calcio) e bandiere biancazzurre sotto il quartier generale dell’ormai nuovo presidente, l’hotel Libertador, nella calle Cordoba del centro di Buenos Aires, dove il candidato della Libertà avanza ha seguito lo spoglio insieme ai suoi più stretti collaboratori, alla sorella Karina e alla fidanzata, un’imitatrice televisiva. «Agli argentini dico: oggi comincia la ricostruzione dell’Argentina e la fine della decadenza, oggi finisce il modello impoveritore dello Stato onnipresente che beneficia solo alcuni mentre la maggioranza soffre», ha promesso Milei, «oggi finisce l’idea che lo Stato è un bottino da ripartire fra i politici e i loro amici, oggi torniamo ad abbracciare il modello della libertà per tornare ad essere una potenza mondiale». Il ballottaggio del 19 novembre ha ribaltato i risultati del primo turno. Il 22 ottobre scorso Javier Milei si era fermato al 30% dei voti, quasi sette punti in meno rispetto a Sergio Massa. Determinante l’appoggio di Patricia Bullrich, la candidata della coalizione di centrodestra Uniti per il cambiamento, che era arrivata terza ed è per questo rimasta esclusa dal ballottaggio. Bullrich aveva deciso di orientare il voto dei propri elettori verso Milei, che ha ricevuto l’appoggio anche dell’ex presidente Mauricio Macri, liberale e figura centrale nel centrodestra argentino, in carica dal 2015 al 2019.

Una crisi economica senza precedenti – Il Paese in cui quasi la metà degli abitanti ha origini italiane vive da anni una crisi economica senza precedenti (e secondo molti osservatori, proprio questo ha pesato nel mettere fuori gioco Massa, titolare economico dell’ormai vecchio governo). Dopo Venezuela e Zimbawe, l’Argentina ha il terzo tasso di inflazione più alto del mondo, pari al 142%, e un debito pubblico di 419 miliardi di dollari. Di questi, il 53% è detenuto in dollari, ulteriore elemento di debolezza macroeconomica visto che il cambio dollaro-peso è in continua picchiata (tra il 31 dicembre 2022 e il 17 dicembre 2023 è aumentato del 99%, e il taglio più alto di banconote in circolazione vale poco più di un dollaro). Quasi la metà dei 45 milioni di argentini vive sotto la soglia di povertà. Il Paese, poi, è al centro di un delicato negoziato con il Fondo monetario internazionale, a cui deve 44 miliardi di dollari. Davanti a questi dati allarmanti, Milei promette ricette draconiane: smantellare la Banca centrale (accusata di «alimentare l’inflazione»), «dollarizzare» l’economia abbandonando il peso, privatizzare gran parte delle industrie di Stato, abolire svariati ministeri.

Da Trump a Bolsonaro, le reazioni – Il primo a salutare con entusiasmo i risultati argentini è stato Donald Trump che, sul suo social network Truth, ha scritto: «Sono molto orgoglioso di te. Renderai l’Argentina grande». Gli ha fatto eco l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che su X (ex Twitter) ha esultato: «La speranza brilla di nuovo in Sud America», augurandosi che «questi venti buoni arrivino negli Stati Uniti e in Brasile, affinché tornino l’onestà, il progresso e la libertà per tutti». Anche lo spagnolo Santiago Abascal di Vox, un altro protagonista di questa sorta di Internazionale di destra, si è congratulato con Milei: «Oggi si apre un cammino di futuro e di speranza per gli argentini e per tutta l’America Latina che celebriamo in Spagna con particolare gioia». Oltre alle reazioni degli alleati internazionali del nuovo presidente argentino, sono arrivate anche le parole dei partner diplomatici con cui Milei dovrà confrontarsi: dal segretario di Stato Usa Anthony Blinken (che si dice ansioso di lavorare «su priorità condivise») fino al presidente brasiliano Lula che, nonostante le differenze politiche, ha augurato a Milei «buona fortuna e successo».