Sono 44 le persone giustiziate in Iran dall’inizio del 2025, in tredici giorni. L’ultima condanna a morte è quella di Pakhshan Azizi, attivista accusata di far parte di gruppi armati curdi fuorilegge. La donna ha 40 anni ed è stata arrestata a Teheran il 4 agosto 2023 con il padre, la sorella e il cognato. Lo scorso luglio il Tribunale rivoluzionario l’ha condannata a morte perché accusata di “ribellione armata contro lo Stato” e per il suo coinvolgimento nei gruppi di opposizione al regime. La sentenza è stata confermata in secondo grado. A nulla sono servite le repliche degli avvocati che hanno negato qualsiasi legame con le organizzazioni criminali: la donna verrà impiccata. Azizi è un’operatrice umanitaria e un’attivista curda di Mahabad, hanno rimarcato gli avvocati. Ha lavorato nel Kurdistan iracheno e nel nord della Siria, in particolare nei campi profughi di Sinjar, si è dedicata agli sfollati scappati dalla violenza dello Stato islamico e ha difeso i diritti delle donne.

Una donna iraniana a Teheran. EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

La reclusione a Evin – Detenuta nel carcere di Evin, Azizi è tra «quelli che alzando lo sguardo non possono ancora vedere il cielo», come ha detto Cecilia Sala descrivendo, dopo 21 giorni di prigionia, la sua reclusione nel carcere iraniano. Una volta rilasciata, la giornalista del Foglio e di Chora Media ha raccontato il tempo passato nella cella stretta e senz’aria, senza nessun passatempo e neanche una compagna con cui condividere la detenzione. Anche i diritti fondamentali di Pakhshan Azizi sono stati via via soppressi dal regime: dopo l’arresto è stata sottoposta a interrogatori presso l’intelligence detention center prima di essere trasferita al reparto 209 di Evin, dove vengono reclusi gli oppositori politici, in una cella di isolamento per quattro mesi. Poi il trasferimento nel reparto femminile dove ha sùbito torture e maltrattamenti: in una sua lettera pubblicata dal media Kurdpa riferì che, durante alcuni interrogatori, le vennero legate le mani dietro la schiena e che le puntarono un’arma alla testa.

Le condanne – Amnesty International ha definito il processo ad Azizi «gravemente ingiusto» e il direttore della ong Iran Human Rights ha dichiarato: «Questa sentenza illegale, emessa per instillare paura nella società e prevenire nuove proteste, deve essere condannata dalla comunità internazionale. Solo aumentando il costo politico per la Repubblica islamica tali atrocità potranno essere eliminate». L’iraniana Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace 2023, detenuta a Evin insieme ad Azizi ma attualmente fuori dal carcere per motivi di salute, ha affermato sui social che «la condanna a morte di Pakhshan Azizi riflette la determinazione del regime ad aumentare la repressione delle donne e a vendicarsi del magnifico e potente movimento Donna, Vita, Libertà

I numeri – Nel 2024 c’è stato un aumento senza precedenti di esecuzioni da parte dell’Iran: 901 le persone giustiziate, di cui 40 in una sola settimana a dicembre. Le donne impiccate sono state 34, un numero raddoppiato anche a causa del maggiore coinvolgimento femminile alle proteste del 2022, scoppiate dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini. L’80 per cento delle esecuzioni sono legate alla droga: l’Iran è uno dei principali punti di transito per il commercio di sostanze stupefacenti grazie alla sua posizione, crocevia tra Europa e Medio Oriente, e la legge iraniana prevede la pena di morte per molti reati connessi.