Dopo il cessate il fuoco, il viaggio a Mosca per firmare la tregua in Libia. Fayez al Serraj, capo del governo di accordo nazionale, e Kahlifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale, saranno nelle prossime ore al Cremlino per sancire l’accordo. «Non è chiaro se le due delegazioni si parleranno», ha precisato Lev Dengov, capo del gruppo di contatti russo per la Libia, «sarà un incontro privato con funzionari russi e turchi che lavorano al dossier di pace». Al- Serraj cerca di affrettare i tempi e si rivolge alla nazione: «Voltiamo pagina». Ma intanto le parti si accusano vicendevolmente di aver violato il cessate il fuoco, in vigore dalla mezzanotte di sabato 11 gennaio. Ma sul fronte libico si muove anche l’Italia, con l’obiettivo di consolidare il proprio ruolo di mediazione. Per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è fissato un vertice ad Ankara con il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Mentre Luigi di Maio ha incontrato in Tunisia il presidente Said: «Fondamentale coinvolgere i paesi limtrofi alla conferenza di Berlino. Il loro aiuto è necessario per la pace», ha dichiarato il ministro degli Esteri a margine del summit. Da Bruxelles fonti dell’entourage di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, non escludono una missione europea di pacekeeping. Ma solo in futuro, ora è troppo presto.

Si incontreranno? – Potrebbero anche incrociarsi nei corridoi del Cremlino, al Serraj e Haftar. Un incontro ufficiale non è previsto, ma non si può escludere. Fatto sta che i due leader, accompagnati rispettivamente da Khaled al-Mechri, presidente del Consiglio di Stato, e Aguila Salah, presidente del parlamento libico con base in Oriente, hanno accettato l’invito di Vladimir Putin e dovrebbero stabilire i termini della tregua sotto gli occhi di Russia e Turchia, le stesse forze che sostengono le due parti nel conflitto. Al vertice ci saranno infatti funzionari russi e una delegazione turca, con i ministri degli Esteri e della Difesa, Mevlut Cavusoglu e Hulusi Akar. Presenti anche emissari dagli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto, ufficialmente coinvolti come osservatori ai colloqui.

Qui Tripoli- Da Tripoli filtra ottimismo. In un breve discorso in televisione, al Sarraj ha invitato i libici «a girare la pagina sul passato, a rifiutare la discordia compiendo uno sforzo per spostarsi verso la stabilità e la pace». Dello stesso avviso Khaled al-Mechri, che alla televisione libica al- Ahrar ha detto: «La firma di questo accordo aprirà la strada al rilancio del processo politico».
Lo stesso governo di al Serraj aveva precisato nelle scorse ore, però, che «la piena attuazione del cessate il fuoco potrà avvenire solo con il ritiro dell’aggressore da dove è venuto», denunciando violazioni del cessate il fuoco, in vigore da poche ore ma annunciato da Russia e Turchia l’8 gennaio. «In caso di ulteriori violazioni – si avverte – il Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico non resterà a guardare e la sua risposta sarà violenta e ferma». Alcuni media pro Haftar hanno segnalato invece violazioni da parte dell’Esercito di accordo nazionale libico: «Le milizie hanno interrotto la tregua su più di un fronte, con ogni tipo di armi compresa l’artiglieria».

Le origini del conflitto – Dopo le elezioni del 2014 che avevano sancito la vittoria alle elezioni del Congresso nazionale generale (partito di stampo islamista), il generale Haftar, ex uomo di Gheddafi, ha dato il via a un colpo di stato. Da qui sono partiti gli scontri tra le truppe del generale e le fazioni islamiste vicine all’ISIS. Nel 2015 è sceso in campo l’ONU che ha indicato al Sarraj come nuovo primo ministro, chiedendo alla comunità internazionale di riconoscere il suo governo di stanza a Tripoli in attesa di nuove elezioni. Nel 2016 è stato creato il governo di Accordo nazionale ma l’intesa con Tobruch, il dominio di Haftar, non è mai arrivato. E gli scontri tra le milizie di Tobruch e quelle di Misurata (l’esercito agli ordini di al Serraj) sono aumentati fino all’escalation dell’ aprile 2019, quando è iniziata la marcia di Haftar verso Tripoli, con un assedio che dura da 9 mesi. Il 7 gennaio del 2020 è entrata in campo la Turchia con un contingente a sostegno di al-Serraj. Le truppe di Haftar godono invece del favore di Putin e dell’appoggio di un contingente di mercenari russi.