La guerra civile in Libia dura da sei anni e nemmeno la pandemia globale riesce a fermarla. L’attacco del generale dell’Esercito nazionale (Enl) Khalifa Haftar contro il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez Al Sarraj continua, il generale tiene ancora Tripoli in una morsa. Il perimetro che circonda la città si è fatto sempre più stretto e il popolo è stremato ma Sarraj sta cercando di riprendere terreno. Con l’ultima operazione militare il premier è riuscito a riconquistare alcune aree strategiche che erano sotto il controllo di Haftar. Durante la controffensiva di Sarraj però sono stati liberati dei pericolosi criminali. L’ennesima preoccupazione per i libici, che dopo anni di guerra ora devono fronteggiare anche il coronavirus. Le fazioni infatti non hanno rispettato la tregua richiesta dall’Onu per cercare di concentrare le energie di entrambe nella lotta alla pandemia. E nella notte tra il 23 e il 24 aprile comincia un’altro periodo di sacrificio, il Ramadan.

Controffensiva – Il 4 aprile del 2019 Khalifa Haftar sostenuto da Arabia Saudita, Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto annuncia di voler riunificare il paese sotto il suo dominio, controllando Tripoli e distruggendo il controllo del premier – riconosciuto dall’Onu e sostenuto dalla TurchiaFayez al Sarraj. Dopo poco più di un anno dalla dichiarazione di intenti di Haftar, la settimana dopo Pasqua la controffensiva tripolina chiamata “Tempesta di pace” ha risposto riprendendosi due zone strategiche finora controllate dal generale. L’una vicina al confine con la Tunisia (il distretto di Subrata e Surran), l’altra è l’area a 80km a sud di Tripoli (precisamente Tarhuna, città considerata il punto di lancio degli attacchi alla capitale). Nel corso dell’attacco nel distretto a est di Tripoli (vicino alla Tunisia) le truppe di Sarraj hanno anche liberato 400 pericolosi detenuti dal carcere di Subrata e Surran. Tra questi anche Ahmed al-Dabbashi detto ‘Ammu‘ (lo zio), il super ricercato dall’Onu, contrabbandiere e trafficante di uomini verso l’Italia. Il 19 aprile, il portavoce del sedicente esercito nazionale libico, Ahmend al-Mismari ha annunciato su Facebook l’arresto di Saleh al-Dabbashi, anche lui trafficante di esseri umani verso le coste italiane e fratello di Ammu. L’uomo è stato catturato, si legge nel post «insieme a dei mercenari siriani e dei ricercati libici sostenuti dalla Turchia», durante gli scontri nel sud della capitale sul fronte di Al Twisha. La reazione delle truppe di Sarraj nella zona, grazie al sostegno militare della Turchia, ha portato alla ritirata delle truppe di Haftar, lasciando però la preoccupazione per l’ondata di criminali a piede libero.

Le zone coinvolte nella controffensiva di Sarraj: in rosso le zone riconquistate e in giallo la capitale Tripoli, roccaforte del primo ministro.

Tripoli e il Covid-19 – Roccaforte di Sarraj, centro di raccolta e porto di partenza per le tratte del Mediterraneo ma soprattutto capitale di un popolo sfinito. Tripoli ha dovuto sopportare ancora un’altra sfida: una settimana senza acqua nelle abitazioni e con le periferie già in guerra. Dall’inizio dell’anno la difesa della città sembra essere migliorata, grazie al controllo turco dei droni inviati da Haftar sopra la città, ma il numero delle vittime rimane alto. Nell’ultima settimana 150 morti, 1700 dall’inizio della guerra e 17 mila feriti.  A questo deve essere aggiunta la paura da coronavirus. Il governo sta insabbiando i numeri riguardanti i contagi di Covid-19 (ieri la Libia contava 51 casi) e sta tenendo sotto controllo i media e le pubblicazioni. Come riporta Internazionale, c’è poca chiarezza nella gestione dei fondi dati al ministero della salute libico per la gestione della pandemia. Mancano attrezzature e protezioni negli ospedali e il sindaco di Tripoli, Abdul Raouf al Mal ha definito “insufficienti” i fondi erogati dal governo: «Come farà il comune a provvedere ai respiratori, ai materiali per la sterilizzazione e ad altre esigenze di questo tipo in grandi quantità? C’è molta confusione tra le responsabilità del comune e quelle del ministero della salute e del Centro nazionale per il controllo delle malattie». Vivere un incubo nell’incubo non lascia molte prospettive a coloro che non hanno, per il momento, una via d’uscita. E un video del New York Times, cerca di raccontarlo.