Tripoli è una città sfinita, che perde pezzi e aspetta da un decennio di ricucire i suoi lembi. La guerra in corso richiama quella che nel 2011 ha portato alla fine di Gheddafi. Oggi le due eredità del colonnello, da una parte l’esercito del primo momento – incarnato da Haftar -, dall’altra il suo volto formale istituzionale – Sarraj -, combattono di nuovo in questa terra da sempre contesa e lacerata tra lotte intestine e ingerenze straniere. Solo nelle ultime 48 ore il conto dei morti è tornato a salire: 32 vittime, anche tra i civili e oltre 50 feriti.

La tregua umanitaria – L’Onu ha fallito di nuovo in Libia. Alle porte di Tripoli Sarraj ha lanciato il suo “Vulcano di Rabbia”, la controffensiva militare contro l’attacco a sorpresa del «traditore», il generale Khalifa Haftar, sfiduciando definitivamente il canale diplomatico. Al tavolo della conferenza di pace prevista per il 14-16 aprile a Ghadames si è preferito il terreno dallo scontro militare. Il “Diluvio di dignità” portato dalle truppe di Haftar è iniziato giovedì 4 aprile, proprio alla vigilia dell’arrivo dell’inviato Onu Ghassam Salamè. Le Nazioni Unite hanno chiesto una tregua umanitaria, ma i combattimenti non si fermano.

Il puzzle delle milizie – Haftar è avanzato fino a Misurata, forte del sostegno degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita, che si aggiungono a Egitto e Russia, oltre al ruolo ambiguo della Francia. Il capo dell’esercito ha trovato nella città una roccaforte di resistenza. Ma le stesse milizie che stanno salvando Sarraj dalla disfatta militare hanno portato il suo vicepresidente alle dimissioni: Ali Al-Qatrani ha abbandonato il Governo. «Sarraj è controllato dalle milizie», ha detto Qatrani, «incoraggiandole ha violato l’accordo politico sulla Libia abusando dei privilegi concessi a lui come capo del Consiglio presidenziale»: «Questo condurrà il Paese solo verso ulteriori sofferenze e divisioni».  Le milizie misuratine sono finanziate da Turchia e Qatar e sono disposte ad aiutare il presidente libico a una condizione: niente trattative con Haftar. Quindi, niente Onu.

La mediazione italiana – Se Parigi è al centro delle polemiche dopo i sospetti rivelati da Sarraj, l’Italia ancora una volta cerca di conquistarsi il ruolo di mediatore. Il Governo Conte è preoccupato delle ricadute che un’ennesima guerra avrebbe sulle migrazioni e insiste per mantenere aperto il dialogo diplomatico. «Confido in Haftar, la guerra civile va evitata», ha detto il presidente del Consiglio. Dall’altra parte c’è la Francia, storica contendente dell’Italia per le riserve petrolifere nel Paese. Macron ha elevato Haftar al ruolo di negoziatore durante gli incontri organizzati a Parigi e anche per questo Sarraj avrebbe convocato l’ambasciatrice francese Béatrice du Hellen per chiedere chiarimenti sulla posizione dell’Eliseo.

Il ruolo di Francia e Stati Uniti – Ma chi c’è dietro l’improvvisa decisione di Haftar di scendere in campo? Il sospetto degli osservatori internazionali ricade proprio su Macron, che avrebbe lasciato il via libera al generale libico. Oscuro anche il ruolo degli Usa, che il 7 aprile hanno ritirato le truppe dalla Libia. «Il vero scandalo è la comunità internazionale, i Paesi del mondo che reagiscono con cautela, come se tutti aspettassero di vedere chi vince…» dice, in un’intervista a Repubblica, il ministro dell’interno Fathi Bishaga. «Credete che la Libia divisa e debole che siamo noi ai vostri occhi accetterà una nuova dittatura militare? Siete completamente fuori strada».

L’Ue: “Evitare l’escalation” – Intanto la questione Libia arriva anche sul tavolo del Consiglio Ue degli esteri. La priorità, per l’Alto rappresentante europeo Federica Mogherini è «evitare ogni ulteriore escalation militare e tornare sulla strada del dialogo politico».