Almeno sul fronte ambientale, gli italiani sono i primi della classe. E non vengono bacchettati dall’Europa che, al contrario, ne prende esempio. La Commissione Ambiente di Bruxelles ha dato il via libera alle nuove regole per la riduzione delle buste di plastica “usa e getta”. Seguendo l’esempio virtuoso proprio del Belpaese, che nella legge Finanziaria del 2007 aveva previsto «l’avvio di un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci che non risultino biodegradabili». Il definitivo divieto fu fissato al 1° gennaio 2011.
L’Ue ha proposto il taglio del loro consumo del 50 per cento entro il 2017 e dell’80 entro il 2019. Il testo, proposto dalla relatrice danese dei Verdi Margrete Auken, verrà sottoposto alla sessione plenaria dell’Assemblea di Strasburgo in aprile: gli Stati membri adotteranno misure come tasse e restrizioni affinché i negozianti non forniscano buste gratuite con uno spessore inferiore a 0,05 millimetri. Quelle utilizzate per avvolgere alimenti come frutta, verdura e dolciumi dovranno essere sostituite dal 2019 da sacchetti in carta riciclata o sacchetti biodegradabili e compostabili. Eccezion fatta per i sacchetti superleggeri utilizzati per avvolgere alimenti sfusi come carne cruda, pesce e prodotti lattiero-caseari.
L’iniziativa annulla di fatto la procedura d’infrazione ancora aperta verso l’Italia per un divieto di uso dei sacchetti di plastica non biodegradabili. Positivo il giudizio di Legambiente: «Ora una delle priorità da seguire sarà risolvere il problema dei sacchetti illegali, ancora troppo diffusi e promuovere le filiere delle produzione industriali innovative e rispettose dell’ambiente», commenta il vicepresidente Stefano Ciafani.
I DATI – Fino al 2010 l’Italia era il primo paese europeo per consumo di sacchetti usa e getta, con una percentuale di consumo pari al 25 per cento del totale prodotto e introdotto sul mercato in Europa, pari a circa 98,6 miliardi di buste di plastica ad uso singolo. Con l’entrata in vigore nel 2011 della legge contro gli shopper non compostabili, in soli tre anni la nostra Penisola è riuscita a dimezzare questa percentuale. Passando dalle circa 180.000 tonnellate del 2010 alle circa 90.000 del 2013, con un miglioramento della qualità e della quantità del rifiuto organico. Ogni cittadino europeo utilizza in media 198 sacchetti ogni anno, il 90 per cento dei quali troppo leggero per essere riutilizzato facilmente. L’Ue stima che nel più di 8 miliardi di buste siano finite nella spazzatura. Il consumo pro capite per ogni cittadino europeo è di 198 sacchetti, con differenze sostanziali tra i singoli Stati: in media i cittadini di Danimarca e Finlandia usano 4 sacchetti all’anno, contro i 466 di Polonia, Estonia, Lettonia e Portogallo (l’Italia si attesta attorno ai 200 annui). Circa il 6 per cento di queste buste non viene smaltito e si perde nell’ambiente.
IL DIFFICILE SMALTIMENTO – La plastica, nelle sue forme più varie, è uno dei materiali più difficili da riciclare. La lenta degradabilità della plastica (100-1000 anni) e il largo uso che se ne fa, ha reso necessario organizzare un accurato programma di raccolta differenziata per cercare di smaltire questo materiale. Il riciclaggio può essere meccanico o chimico, scomponendo la plastica in monomeri ricomposti poi in polimeri. Dopo la fase di raccolta, i materiali vengono portati in appositi siti dove vengono separati manualmente, confezionati in balle e divisi nelle successive fasi di lavorazione.
Silvia Morosi