Lisa Montgomery è stata uccisa con un’iniezione letale mercoledì 13 gennaio. I numerosi appelli non sono bastati. Per la prima volta nella storia americana, nel periodo di transizione tra due presidenti sono state eseguite esecuzioni capitali a livello federale: il presidente uscente, Donald Trump, non ha concesso la grazia a Montgomery, prima donna giustiziata dal governo dopo quasi 70 anni.

Antefatti – La pena capitale a livello federale si applica negli Stati Uniti per un ristretto numero di casi tra cui, come nel caso Lisa Montgomery, omicidi di difficile attribuzione territoriale.

Madre di quattro figli, nel 1990 subì una legatura delle tube che la rese sterile. La possibilità di non avere più figli la traumatizzò, e per questo si mise alla ricerca di donne incinta. Fingendo sotto pseudonimo di voler comprare un cane, Montgomery si accordò con Bobbie Jo Stinnet, che gestiva un allevamento in Missouri. Una volta entrata in casa, strangolò la donna, le tagliò il ventre e prelevò il feto di otto mesi che vi stava crescendo. Secondo la donna, che affermò falsamente di essere incinta, il figlio le apparteneva.

A sua discolpa gli avvocati hanno sempre portato prove di violenze sessuali subita quand’era giovane, e fino all’ultimo si sono appellati al tribunale dell’Indiana: la madre la obbligava a “pagare le bollette” tramite il suo corpo, e il patrigno abusava regolarmente di lei insieme al babysitter. Il 7 gennaio la difesa ha richiesto che l’esecuzione venisse sospesa a causa di seri problemi mentali e danneggiamento del cervello che le avrebbero impedito di comprendere razionalmente ciò che stava accadendo. La corte dell’Indiana l’11 gennaio ha ordinato una sospensione della pena per valutare i reclami di Montgomery, ma il governo ha fatto appello al Settimo circuito, una corte federale che ha giurisdizione sopra alcune corti statali, tra cui quella dell’Indiana, che gli ha dato ragione. Un ultimo tentativo è stato fatto alla Corte Suprema, che però, con tre giudici in disaccordo, ha confermato la pena capitale.

Condanne a morte federali – La presidenza Trump, tra le tante bizzarrie, si è caratterizzata anche per le condanne a morte a livello federale, riprese dopo 17 anni. Quella di Lisa Montgomery non è nemmeno la prima esecuzione ordinata durante il periodo di transizione: in seguito alle sollecitazioni del presidente uscente, Orlando Hall (19/11), Brandon Bernard (10/12) e Alfred Bourgeois (11/12) sono stati uccisi, sempre tramite iniezione letale, dopo la vittoria elettorale di Joe Biden. Oggi, 14 gennaio, e domani saranno uccisi per condanna a morte federale Corey Johnson e Dustin Higgs. Nel 2020 si è poi battuto un altro record: per la prima volta nella storia, il governo degli Stati Uniti ha effettuato più esecuzioni, 11, di tutti gli altri Stati (29 su 50) in cui vige la pena di morte.

Le ultime mosse di Trump – In generale, l’accelerazione delle condanne a morte nel periodo di transizione si inserisce nel tentativo più ampio del presidente uscente di lasciare terra bruciata dietro di sé. Dopo gli eventi di Capitol Hill, si è avuta l’ennesima dimostrazione dell’incapacità di The Donald di accettare la sconfitta. Ancor prima del risultato ufficiale delle elezioni, già aveva annunciato ricorsi (tutti respinti) per presunte frodi elettorali o ingiustizie nella conta dei voti. Il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, la nomina della giudice conservatrice Barrett nella Corte Suprema in seguito alla morte della liberale Ginsburg, la grazia concessa a figure oscure del suo governo sono sintomi della volontà di ottenere il massimo possibile, inteso come interesse personale o perlomeno partitico, in questi ultimi giorni di presidenza, e di mettere in difficoltà la prossima amministrazione. Che ha già annunciato il ripristino della moratoria per interrompere le condanne a morte federali.