“Sánchez dimisión”: si leggeva scritto in grande su uno dei tanti striscioni presenti in piazza Cristoforo Colombo a Madrid. Domenica 13 giugno 25mila persone si sono radunate nel tradizionale luogo di ritrovo della destra madridista per protestare contro l’indulto che potrebbe essere concesso ai leader indipendentisti, condannati per il tentativo di secessione della Catalogna del 2017. Ad aprire a questa possibilità è stato il primo ministro, il socialista Pedro Sánchez, diventato facile bersaglio della coalizione conservatrice. Partito Popolare, Ciudadanos e Vox erano presenti alla manifestazione e a gran voce hanno espresso la loro contrarietà. «Chiediamo a Sánchez di non vendere la sovranità, l’unità nazionale e l’uguaglianza di tutti gli spagnoli per un pugno di voti», ha detto Pablo Casado, leader del Partito Popolare.

Manifestanti in piazza Cristoforo Colombo a Madrid

La manifestazione – “La Spagna non si divide. Chi lo fa paga”, “Golpisti protetti, spagnoli abbandonati”, “Golpisti in prigione”. Frasi che si ripetono tra la folla. La manifestazione organizzata dalla piattaforma di attivismo politico “Unión 78” ha smosso la città. A far sentire tutto il suo dissenso in merito al possibile indulto è stata anche Isabel Diáz Ayuso, presidentessa della Comunità di Madrid e membro del Partito Popolare. «Il Re di Spagna firmerà gli indulti? Lo renderanno loro complice», ha affermato la politica madridista riferendosi al piano del governo socialista. «Pretendono di rubare la sovranità al popolo spagnolo. Pretendono di tagliare una parte della Spagna, come la Catalogna, in maniera illegale e unilaterale e il presidente del governo è passato da ispettore a complice di quello che sta succedendo. Per questo la Comunità di Madrid vuole rivendicare l’unità di Spagna, la sovranità del popolo e la Costituzione. Noi siamo a favore della Spagna». Sulla stessa linea il sindaco di Madrid, José Luis Martínez-Almeida. «Benvenuti alla difesa dello Stato di diritto e della Costituzione del 1978», ha dichiarato il primo cittadino, che ha invitato Sanchez a stare attento perché «Potrà anche concedere la grazia ai secessionisti ma il popolo spagnolo non sarà dello stesso avvisoi». La scelta del governo Sánchez, tuttavia, non sarà così immediata. Tutto dipende dal volere del Rè, Filippo VI, che può decretare l’indulto su proposta del ministro della Giustizia e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Nel frattempo il Tribunale supremo, che aveva espresso la condanna nel 2019, ha già dato parere negativo (obbligatorio ma non vincolante) in merito alla proposta socialista.

La tentata secessione del 2017 – Sono passati quattro anni da quando la Catalogna ha tentato di dichiararsi indipendente. Era il 1 ottobre 2017 quando è stato indetto un referendum illegale in cui 2,02 milioni di catalani hanno detto sì alla separazione. Il 90% della popolazione giallorossa si è espressa favorevolmente, correndo poi in piazza per manifestare. Dalle votazioni alle urne si è passati in poco tempo a scontri con la polizia e proteste accese che hanno causato 800 feriti, decine di arresti e 319 seggi chiusi.

«In questa giornata di speranza e sofferenza i cittadini della Catalogna hanno vinto il diritto a uno Stato indipendente in forma di Repubblica», aveva detto in quei giorni Carles Puigdemont, al tempo governatore della Catalogna e uno dei principali promotori della secessione. L’indipendentista di Amer subito dopo il tentato golpe era fuggito in Belgio per evitare le condanne, che hanno colpito complessivamente 12 indipendentist. Nel 2019 si era candidato come europarlamentare, ottenendo la carica e di conseguenza l’immunità. Condizione esaminata dalla Commissione giuridica del Parlamento di Strasburgo che, in seguito a una votazione, ha deciso di rimuovere l’immunità e permettere l’estradizione nei confronti di Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsatí – altri ex ministri secessionisti poi eletti all’Europarlamento.