un gruppo di ragazze con il tipico abito maldiviano

un gruppo di ragazze con il tipico abito delle Maldive (foto Amnesty International)

Le Maldive possono essere il sogno di ogni occidentale, ma anche l’incubo di una ragazza di quindici anni. Condannata a 100 frustate e otto mesi di domiciliari per aver avuto rapporti sessuali prima del matrimonio. È questa la sentenza del tribunale di Malé, capitale dell’atollo con le spiagge più belle del mondo. Di bello, nella storia della giovane condannata, originaria dell’isola di Feydhoo, c’è ben poco: abusata per anni dal patrigno, madre consapevole e complice. Una gravidanza, il bambino ucciso dai genitori della ragazza, il piccolo corpo sotterrato nel giardino di casa.

Le indagini della polizia hanno portato alla luce una realtà incestuosa e drammatica. Come vittima, una ragazza troppo giovane per potersi difendere. Agli occhi dei giudici del tribunale dei minori, tuttavia, essere giovani e abusati non è un deterrente. Durante gli interrogatori, la ragazza ha ammesso di aver avuto rapporti prematrimoniali, che per la legge delle Maldive, ispirata alla sharia (la legge islamica) sono un reato.

Da qui la sentenza, che ha lasciato interdetti gli osservatori internazionali. «Siamo di fronte non a un colpevole, ma a una vittima di molteplici abusi», ha ricordato un portavoce delle Nazioni Unite. Sgomento anche da parte dello stesso governo delle Maldive. Il presidente Waheed ha fatto sapere via Twitter di «essere rattristato per la fustigazione inflitta ad una minorenne» e di sperare che la Procura della Repubblica faccia appello per la sentenza.

Nel frattempo la ragazza può scegliere se ricevere subito le frustate o aspettare la maggiore età. Per il patrigno, imputato dell’omicidio del neonato, la pena potrebbe arrivare invece fino a 25 anni.

Susanna Combusti