Soffia sempre più forte il vento di protesta che dal 7 dicembre scorso scuote il Perù, con manifestanti in piazza e scontri con le forze dell’ordine che hanno provocato la morte di almeno 55 persone, tra cui anche un minorenne. I disordini sono cominciati dopo che l’ex presidente Pedro Castillo è stato estromesso dall’incarico e arrestato per un presunto tentativo di sospendere il Congresso. Milioni di persone chiedono le dimissioni della ex vicepresidente Dina Boluarte, che ha assunto il comando. in tutto il Perù le piazze si riempiono e premono per indire nuove elezioni contro i fenomeni di corruzione e disuguaglianza che da sempre affkiggono il Paese sudamericano

La crisi politica – L’apice del dissenso si è raggiunto il 20 gennaio con la cosiddetta Toma de Lima, una marcia per “la presa” della capitale, paragonata nelle intenzioni a quella che nel 2000 portò alla fuga dell’allora presidente Alberto Fujimori. Migliaia di persone sono arrivate a Lima partecipando allo sciopero indetto dalla Confederazione dei lavoratori del Perù (Cgtp) in appoggio alla Marcha de los cuatro suyos (letteralmente, la Marcia dei suoi quattro, in riferimento alla folla proveniente dai quattro angoli del Paese che portò alla cacciata di Fujimori). I manifestanti hanno estrazioni e culture diverse: sono operai, contadini, ma anche dirigenti, insegnanti, studenti. Non rappresentano un’area politica specifica né sono guidati da un leader, ma arrivano in larga parte dalle aree rurali e chiedono di rifondare le basi democratiche del Paese. Da anni il Perù è tormentato da corruzione, fragilità economica e continui squilibri di potere. L’arresto di Castillo non ha portato allo scioglimento del governo e il mantenimento del Congresso ha alimentato il malcontento generando il caos.

Arresti e violenze – Tra i momenti di maggiore tensione, ci sono stati diversi attacchi al settore turistico, con minacce agli aeroporti e una nuova chiusura del complesso archeologico e architettonico andino, unico al mondo, di Machu Picchu, dopo quella avvenuta il 14 dicembre. La scena si è ripetuta il 21 gennaio scorso, quando 417 persone, tra cui 300 turisti stranieri anche italiani, sono rimaste bloccate per ore nel sito archeologico. Il momento più duro è arrivato proprio durante le proteste del 20 gennaio, quando un palazzo ha preso fuoco e una parte dei manifestanti è arrivata a lanciare sassi contro i poliziotti. La situazione si fa sempre più delicata, anche considerando che le forze dell’ordine non rispondono sempre con lacrimogeni ma anche con armi da fuoco. Centinaia di persone sono state arrestate dall’inizio delle proteste, 193 solo all‘Università San Marco di Lima. Nelle ultime ore, 192 di loro sono stati rimessi in libertà. Gli studenti rilasciati raccontano a El Pais di essere stati «trattati come prigionieri», e i difensori dei diritti umani lamentano che non è stato concesso di verificare l’integrità dei detenuti. La Procura invece tiene ancora sotto osservazione un uomo, sospettato di appartenere a un gruppo illegale. Dall’inizio delle proteste si contano almeno 1.200 feriti tra manifestanti e forze di sicurezza. Boluarte ha parlato alla Nazione in un discorso televisivo dicendo che chi protesta sta «violando lo stato di diritto» e ha ribadito che «Il governo è fermo e più unito che mai».

Manifestazioni per le dimissioni di Dina Boluerte (foto di Paolo Aguilar Epa/Ansa)

La posizione di Boluarte – È questo uno dei temi più caldi delle proteste. In quanto vicepresidente, Boluarte ha preso le redini del governo dopo la destituzione di Castillo nel pieno rispetto della Costituzione. Avvocatessa, 50 anni, è un’esponente del partito di sinistra Perù Libre e fedele a Pedro Castillo, con cui è stata anche ministra. Quando ha giurato, è stata annunciata dai media come la prima presidente donna, che avrebbe portato a una sinistra democratica lontana dai totalitarismi. In teoria Boluarte dovrebbe traghettare la popolazione fino alle elezioni, fissate per aprile 2024, ma di fronte al dissenso, in molti si chiedono perché non lasci subito. Secondo quanto ricostruito da La Repubblica, il governo sta cercando di anticipare le elezioni con un provvedimento ad hoc. Stando alle indiscrezioni, Boluarte avrebbe voluto già andarsene, ma il primo ministro Alberto Otárola l’avrebbe convinta restare, sostenendo che le sue dimissioni avrebbero prodotto «anarchia e dissesto delle istituzioni». Le sarebbe stato promesso inoltre di ricevere «forte sostegno da parte dei partiti di destra e delle forze armate». L’accusa politica più pesante rivolta adesso a Boluarte è proprio di avere assunto posizioni di destra una volta insediatasi al posto di Castillo e di aver sostenuto la repressione delle proteste pur di evitare le elezioni.