Giorni di paura a Parigi. Tutto è iniziato il 7 gennaio con l’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo nel quale 12 persone hanno perso la vita. Dopo una notte di caccia all’uomo nella città, per cercare di fermare i due attentatori jihadisti fuggiti, la conta dei morti non si è fermata e anzi, è salita. La mattina seguente, una vigilessa è morta in una sparatoria alla Porte de Chatillon, a sud della capitale. Un uomo con la testa rasata, vestito di nero e con un giubbotto antiproiettile, ha aperto il fuoco sulla volante della polizia che stava effettuando dei controlli, per poi fuggire sulla macchina con cui era arrivato. Il caso non sembrerebbe legato a quello di Charlie Hebdo ma è scattata una seconda caccia all’uomo in città, mentre il collega della vittima lotta tra la vita e la morte in ospedale. Non sono mancata le prime reazioni “anti-Islam”. Nella notte di mercoledì due luoghi di culto islamici sono stati presi di mira. Tre bombe sono state lanciate contro la moschea di Le Mans, nella Valle della Loira. Sparati colpi di arma da fuoco contro una sala di preghiera a Port-la-Nouvelle, a sud, non lontano da Narbonne. Giovedì mattina alle sei un’esplosione dolosa si è verificata a Villefranche-Sur-Saone, nella regione di Lione. Un ordigno artigianale è stato messo davanti alla porta di un ristorante di kebab, che si trova a qualche metro dall’entrata della moschea ‘‘La Quarantaine’‘. Il ristorante era chiuso dalle 21.30 e ha riportato solo danni materiali. ‘‘Tutte le piste sono battute’‘, ha detto Grégoire Dulin, della Procura di Villefranche sur Saône.
Una Parigi blindata dopo il massacro dei giornalisti di Charlie Hebdo. Alle 11.30 del 7 gennaio,in rue Nicolas-Appert è successo l’inimmaginabile. In piena riunione di redazione, due uomini incappucciati hanno fatto irruzione nell’ufficio e hanno sparato a raffica con i loro kalashnikov sui presenti. Un massacro in nome di una vendetta, quella per il profeta Maometto, spesso rappresentato in modo blasfemo dai vignettisti del giornale. Un grido, “Allah Akbar” (Dio è grande), e poi i colpi di arma da fuoco che hanno ucciso dodici persone tra cui 8 giornalisti, un ospite, 2 poliziotti e il custode dell’edificio, freddato dopo aver rivelato a che piano fosse la redazione. Un piano meticoloso quello degli aggressori, studiato nei minimi dettagli e conclusosi con il grido soddisfatto “Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!”, prima di darsi alla fuga. Tutto è durato una decina di minuti, e sarebbe forse stato anche più breve se inizialmente gli attentatori non avessero sbagliato numero civico. Ma quando hanno localizzato il vero obiettivo nulla li ha fermati e, come dicono gli abitanti del quartiere, si sono susseguiti una trentina di colpi di arma da fuoco quasi ininterrotti. I soccorritori, arrivati poco dopo sul posto, hanno parlato di una vera e propria carneficina.
Nel caos dei primi soccorsi, di una città bloccata e colpita al cuore, le reazioni delle forze dell’ordine sono state quasi immediate. Le teste di cuoio francesi si sono messe sulle tracce dei due attentatori che sono riusciti a fuggire dopo l’attacco. Hanno commesso un errore però. Hanno lasciato le carte d’identità nella vettura che hanno abbandonato lungo la loro fuga e così gli inquirenti hanno dato loro un nome: sono i fratelli Said e Cherif Kouachi, da poco tornati dalla Siria dove hanno abbracciato la causa dell’Islam più estremo. Nella notte tra il 7 e l ‘8 gennaio, la polizia francese ha dato così il via alla caccia all’uomo. Prima con un blitz a Reims, dove è stato fermato un diciottene accusato di essere il complice, e forse l’autista, dei due terroristi. Poi con 7 arresti tra i conoscenti dei jihadisti intorno ai quali il cerchio sembra stringersi sempre di più. I due sono stati infatti localizzati nella zona di Villers-Cotterets, città della Picardia a nordest di Parigi.
Nel giorno che segue quello che già in molti definiscono l’11 settembre francese, il presidente francese Francois Hollande ha dichiarato il lutto nazionale con le bandiere a mezz’asta per tre giorni. Ma perché la paura passi, occorrerà molto più tempo.
Federica Villa