Complicità nelle torture e negli abusi commessi dalle autorità libiche sui migranti. È questa l’accusa che Amnesty International muove contro i governi dell’Unione Europea, in un rapporto pubblicato il 12 dicembre. «La collusione tra bande armate, trafficanti e Guardia costiera è provata», si legge nel dossier, «e i Paesi europei, per impedire le partenze dal Paese, stanno sostenendo attivamente questo sofisticato sistema di abuso e sfruttamento dei rifugiati».

L’Europa – Dalla fine del 2016 gli stati membri dell’Unione e soprattutto l’italia – come si legge sul sito – hanno attuato una serie di misure per sigillare la rotta migratoria dalla Libia. Il risultato? Decine di migliaia di persone sono rimaste intrappolate nel Paese africano, dove vi è instabilità politica e nessuna protezione per richiedenti asilo e vittime del traffico di esseri umani. Nei centri di detenzione in cui sono stati rinchiusi i migranti vi sono oggi circa 20 mila persone. Secondo il rapporto di Amnesty, che si basa su testimonianze dirette, all’interno dei campi avvengono gravi violazioni dei diritti umani, compresa la tortura. E l’Unione Europea, sostiene sempre Amnesty, fornendo supporto all’autorità che gestisce i centri di detenzione e addestramento alla Guardia costiera, ne è almeno in parte responsabile.

L’accordo – «Mi hanno picchiato con un tubo di gomma, perché volevano dalla mia famiglia i soldi per rilasciarmi», racconta un uomo partito dal Gambia e arrivato in Italia dopo tre mesi di prigionia in Libia. È solo una delle voci raccolte da Amnesty. Dopo aver intervistato decine di migranti e rifugiati, e analizzato foto e video, la Ong internazionale denuncia l’accordo che vi sarebbe tra Guardia costiera libica e rete di trafficanti. «I barconi che devono esser lasciati passare hanno dei “segni distintivi”», e alcuni testimoni hanno raccontato che sarebbero stati scortati dalle motovedette verso acque internazionali. «I governi europei sono consapevoli di questi crimini», ha dichiarato il direttore di Amnesty per l’Europa, John Dalhuisen. Se vogliono mettere fine a questo sistema perverso, ragiona Dalhuisen, «devono ripensare la loro cooperazione con la Libia sulle migrazioni, e permettere alla gente di arrivare in Europa attraverso percorsi legali, che comprendano la ricollocazione di decine di migliaia di rifugiati».

Ras Jadir – Nell’aprile del 2017 l’Italia donò alle autorità della Libia il battello Ras Jedir, per pattugliare le proprie coste e scoraggiare i viaggi clandestini. Alla cerimonia era presente il ministro degli Interni Marco Minniti. «Video, fotografie e documenti controllati da Amnesty International», prosegue il rapporto, «indicano che il Ras Jedir è stato usato dalla Libia nell’orribile incidente in cui il 6 novembre 2017 affogarono 50 persone», dopo aver allontanato i soccorsi che arrivavano dalla nave “Sea Watch 3”. Secondo Amnesty, questa è la prima volta in cui viene provato che un battello fornito da un governo europeo è stato utilizzato in un incidente del genere.

La proposta – In una nota, Dalhuisen suggerisce ai Pesi dell’Unione di intervenire immediatamente. «Devono insistere affinché le autorità libiche mettano fine alle politiche e alle pratiche di arresti arbitrari e di detenzione di rifugiati e migranti», si legge nel comunicato, «rilascino tutti gli stranieri tenuti nei centri di detenzione e permettano all’Unhcr – l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati – di operare senza ostacoli».