La foto caricata su Instagram dalla moglie di Alexey Navalny, Yulia, all’indomani della morte del 47enne

«Putin ha ucciso mio marito». È una presa di posizione netta quella di Yulia Navalnaya, la moglie di Alexey Navalny, il dissidente russo morto il 17 febbraio nella colonia penale Ik-3, in Siberia. In un video caricato sui social, la vedova ha puntato il dito contro il presidente russo, annunciando che proseguirà «il lavoro di Alexey» e che «continuerà a lottare per il nostro Paese». La stessa accusa arriva anche dall’Unione europea. A margine del Consiglio Affari esteri di lunedì 19 febbraio, l’alto rappresentante Joseph Borrell, annunciando sanzioni «contro i responsabili», ha dichiarato che «il responsabile è Putin stesso, ma possiamo scendere fino alla struttura istituzionale del sistema penitenziario in Russia. Ma non dimentichiamo chi è il vero responsabile».
Intanto, sulla morte di Navalny la trama si infittisce. Secondo alcune versioni ufficiali, il dissidente russo sarebbe morto dopo una passeggiata a causa di una trombosi, secondo altre versioni, Navalny sarebbe stato colto dalla “sindrome della morte improvvisa”. In realtà, alcuni esperti sostengono che la morte potrebbe essere stata causata da un avvelenamento lento e costante avvenuto in questi mesi. Da chiarire se questa pista potrebbe spiegare la visita fatta da due agenti dell’Fsb (i servizi segreti russi) a Navalny due giorni prima della morte. Altro tassello da tenere in conto i due voli non programmati atterrati a Salekhard, la piccola città vicino alla prigione dove Navalny era detenuto da dicembre 2023, dopo la morte del dissidente. A bordo probabilmente c’erano otto funzionari dei servizi segreti e del servizio penitenziario che sarebbero arrivati per occuparsi direttamente dell’esame del cadavere.

L’ipotesi novichock – Come riporta il media indipendente «Novaja gazeta», secondo alcuni testimoni oculari di Salekhard, il corpo di Navalny presenterebbe diversi lividi che suggerirebbero «che sia stato trattenuto giù durante forti convulsioni e poi sottoposto a compressioni toraciche». Convulsioni che non sarebbero spiegate da uno trombosi ma potrebbero essere dovute all’utilizzo di un derivato del novichok, un agente nervino con cui Navalny era stato già avvelenato nell’agosto 2020. I segni sul torace, invece, sarebbero legati a un tentativo di massaggio cardiaco. Il condizionale, però, è d’obbligo, perché nessuno, a livello ufficiale, ha ancora visto il corpo. Per il terzo giorno è stato negato l’accesso all’obitorio ai familiari e questo avvalorerebbe l’ipotesi di avvelenamento: in pochi giorni i lividi e i segni di eventuali percosse non scompaiono, cosa che invece fanno le tracce dei derivati del novichok, che spariscono dall’organismo dopo quattro giorni. Nella vicenda potrebbero rientrare – ma il loro ruolo è ancora tutto da dimostrare – Alexei Lysyuk, il 39enne responsabile medico di Ik-3, e Vadim Kalinin, 43 anni, direttore della colonia penale dal 2021 e già condannato (anche se poi il reato fu amnistiato) per abuso di potere. Proprio la «struttura istituzionale del sistema penitenziario in Russia» verso cui ha rivolto le sue accuse l’alto rappresentante Ue Borrell.

I servizi segreti – Secondo i testimoni di Salekhard il corpo non è stato portato all’obitorio del “Lupo polare” (così viene chiamata la colonia penale Ik-3) ma in un ospedale della vicina cittadina, mentre i coroner locali si sarebbero rifiutati di eseguire l’autopsia. Le spiegazioni possibili sono due: o i coroner, avevano paura a rivelare la vera causa della morte e quindi hanno preferito chiudere gli occhi; oppure da Mosca è arrivato l’ordine di aspettare. La presenza dei servizi segreti, arrivati nella cittadina, non si è limitata alle ore successive alla morte: come riporta il «Times», due giorni prima del decesso Navalny avrebbe ricevuto la visita di due agenti che avrebbero scollegato alcune telecamere di sicurezza e dispositivi di ascolto nella sua cella.

Lo scambio di prigionieri – All’indomani della morte di Navalny, il quotidiano tedesco «Bild» ha scritto che per l’oppositore numero uno di Putin il Cremlino aveva ipotizzato uno scambio con Vadim Krasikov, detenuto in Germania per aver assassinato un ribelle ceceno a Berlino. Un’ipotesi che, però, appare poco probabile, sia per il differente «peso politico» dei due interessati, sia perché in una recente intervista Putin aveva parlato della liberazione di Krasikov in cambio di quella di Evan Gershkovich, un giornalista del «Wall street journal» detenuto in Russia.