La Grande Moschea di Al Nuri in una foto prima dell’esplosione

Era il simbolo dell’Isis. Da ieri sera, 21 giugno, è un cumulo di macerie. La moschea Grand al-Nuri, in cui tre anni fa Abu Bakr al Baghdadi – salendo sul pulpito con il Rolex al polso – si autoproclamò Califfo del sedicente Stato Islamico, è stata riempita di esplosivo e distrutta –  si pensa – dai suoi stessi adoratori. Lo hanno annunciato le autorità irachene, che hanno diffuso immagini satellitari dei resti del luogo di culto, il più antico di Mosul, risalente al XII secolo.

 

Non siamo stati noi – I jihadisti, in un comunicato affidato all’agenzia di stampa Amaq, che diffonde tutte le notizie proventienti dallo Stato Islamico,  smentiscono il coinvolgimento dei tagliagole, scaricando la responsabilità dell’azione sui caccia della coalizione internazionale a guida Usa. Le forze occidentali rifiutano qualsiasi colpa, negando di aver compiuto raid nella regione. In una nota, il generale Joseph Martin, comandante americano dell’operazione, ritiene che lo Stato Islamico abbia preferito distruggere la moschea anzi che permettere al nemico di ammainare la bandiera nera dell’Isis. Un’ultima ipotesi, secondo quanto riporta il New York Timesriguarda le teorie complottiste che, anche in ambienti moderati, circolano sullo Stato Islamico. Da anni il sedicente Califfato è considerato da molti arabi sunniti del Medio Oriente uno strumento nelle mani di rivali come l’Iran sciita, l’Occidente o Israele. Secondo il quotidiano, la strategia di incolpare gli Stati Uniti, potrebbe avere pesanti ripercussioni in futuro.

L’assalto – Quel che è certo è che il nichilismo di un gesto simile mette in luce tutta la disperazione dei jihadisti. Da cinque giorni era iniziata l’ultima grande battaglia per la ripresa della città, assediata da ottobre e in gran parte già riconquistata. E i militari iracheni erano ormai sempre più vicini al gobbo, come veniva chiamato il minareto pendente della moschea alto 45 metri. Ora, la battaglia prosegue, con i combattenti dello Stato Islamico ormai asserragliati in poco più di 5 chilometri quadrati della città vecchia in cui restano ancora 100mila civili, protetti dall’Isis con l’intenzione di usarli come scudi umani in caso di un assalto delle truppe di terra.

Il retro della banconota da 10mila dinari iracheni, in cui appare il minareto