Aung San Suu Kyi sta bene. Dal primo febbraio 2021 non si avevano sue notizie, dopo l’arresto durante il colpo di stato dei militari in Myanmar. Oggi è apparsa per la prima volta in collegamento video davanti al giudice che la processerà per “violazione della legge sulla comunicazione” e per “incitamento al disordine pubblico”. Intanto, continua la repressione delle proteste popolari. Quella di ieri, 28 febbraio 2021, è stata la giornata più sanguinosa dal colpo di Stato. Sarebbero almeno 18 i manifestanti uccisi dalla polizia e decine gli arresti.
Il ritorno della leader – Nay tu, l’avvocato di San Suu Kyi, non ha potuto parlare con lei prima dell’udienza ma ha confermato che l’ex Consigliere di Stato birmana sta bene. Andrà a processo il 15 marzo e dovrà rispondere di “importazione illegale di walkie-talkie” e di “aver organizzato una protesta durante la pandemia”. A queste accuse ora se ne aggiungono altre due: “violazione della legge sulla comunicazione” e “incitamento al disordine pubblico”. In caso di condanna, la leader 75enne vedrebbe sfumare la possibilità di ricandidarsi alle elezioni dell’anno prossimo, dopo che la sua vittoria di novembre 2020 è stata annullata dai militari. Potrebbe scontare fino a tre anni in carcere e anche il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, rischierebbe di essere sciolto dalla giunta golpista.
La repressione – A Yangon, come in altre città della Birmania, la polizia spara e uccide manifestanti disarmati. Da un mese le forze dell’ordine e i soldati stanno reprimendo nel sangue le proteste pacifiche contro il Governo militare instaurato il primo febbraio scorso. A nulla sono servite finora le pressioni internazionali. Solo ieri sarebbero 18 i civili uccisi tra Yangon, Mandalay, Bagu, Pakokku, Dawei e Myeik, ma le fonti all’interno dei gruppi in rivolta parlano di almeno 30 vittime. Sono decine le persone rimaste ferite, colpite da pallottole di gomma, gas lacrimogeni ma anche da proiettili veri. Secondo le Nazioni Unite, ieri sarebbero stati arrestati anche 85 tra medici e studenti e sette giornalisti. Il conto delle persone imprigionate dall’inizio del mese continua a salire oltre quota mille.
Le reazioni – È forte la condanna della comunità internazionale all’azione sanguinaria del regime di Naypyidaw. «Abbiamo il cuore spezzato nel vedere la perdita di così tante vite in Myanmar», ha commentato l’ambasciata degli Stati Uniti in Birmania sul suo account Twitter, «Le persone non dovrebbero affrontare la violenza per aver espresso dissenso contro il colpo di stato militare. Prendere di mira i civili è abominevole». Dura la reazione delle Nazioni Unite, con il segretario generale Antonio Guterres che ha condannato la violenza adottata dalla giunta golpista birmana: «Chiediamo ai militari di interrompere subito l’uso della forza contro i manifestati pacifici». Anche l’Unione Europea ha denunciato la repressione brutale del generale Ming Aung Hlaing. L’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell ha annunciato che l’Ue prenderà presto misure adeguate nei confronti del Myanmar.