L’autoproclamata repubblica dell’Artsakh, meglio nota come Nagorno-Karabakh, è scomparsa dalle cartine geografiche dal 1° gennaio 2024. L’ex enclave armena all’interno del territorio dell’Azerbaijan è ormai sotto il controllo di Baku. E potrebbe non essere finita qui: il presidente azero, Heydar Aliyev, ha dichiarato che l’Armenia non esiste e che essa è soltanto la parte occidentale del lerritorio azero, facendo intendere che con il Karabakh le rivendicazioni non sono finite.
Il conflitto – Dopo aver imposto più di nove mesi di isolamento al Nagorno-Karabakh, nel settembre 2023 le autorità dell’Azerbaijan sono intervenute militarmente per porre fine all’esistenza della regione. Cosciente della sua superiorità economica e militare, Baku aveva chiesto alla popolazione di arrendersi. Richiesta rimasta inascoltata, che ha portato a un giorno di intensi combattimenti prima che arrivasse la resa dei rappresentanti armeni. Alla loro resa, è stata avanzata dalle autorità azere l’offerta di corridoi umanitari per evacuare i civili che è stata percepita dalla comunità internazionale come un tentativo di giustificare una pulizia etnica. Da registrare l’intervento di Josep Borrell, l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue: «le violenze in corso non debbano essere usate come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale». Il conflitto e i soprusi azeri nei confronti del Karabakh sono passati quasi inosservati sotto lo sguardo delle autorità internazionali, che fino alla scorsa estate hanno espresso soltanto critiche velate. Il che ha permesso a Baku di insistere nella sua politica di isolazionismo e azioni militare nei confronti dell’enclave armena, nell’indifferenza della Russia e della stessa Armenia.
I motivi – Dal punto di vista geopolitico, il conflitto, già esistente dalla nascita dello Stato, è scoppiato nuovamente anche a causa dell’invasione della Russia in Ucraina, che ha fatto mancare la protezione di Mosca nei confronti di Erevan. Già nel 2020 l’Azerbaijan aveva ripreso il controllo dei territori adiacenti al Karabakh (e di altre regioni abitate da armeni) grazie anche ai consistenti investimenti in armi resi possibili dalle abbondanti esportazioni di gas e petrolio e all’appoggio della Turchia. La guerra durata 44 giorni era terminata proprio grazie a un intervento della Russia, che aveva proclamato e imndetto un cessate il fuoco. In quell’occasione Mosca aveva dispiegato forze di pace che avevano il compito di garantire la sicurezza della popolazione armena locale e proteggere il corridoio di Lachin (ovvero la principale linea di comunicazione tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia). A partire dal dicembre del 2022, con una serie di pretesti, l’Azerbaijan ha approfittato dell’impegno della Russia sul territorio ucraino per imporre un blocco del transito attraverso il corridoio di Lachin. Di fronte all’indifferenza russa, Baku ha quindi potuto rafforzare sempre di più il blocco. Dal giugno 2023 il transito verso il Nagorno-Karabakh è stato completamente interrotto. Anche quello di convogli umanitari.
Cos’è – Il Karabakh è un’entità amministrativamente indipendente emersa con il crollo dell’Unione Sovietica, il cui governo è vicino a quello armeno, che però non lo riconosce ufficialmente. Ai tempi dell’Urss la regione era parte della Repubblica azera. Anche per questo motivo Aliyev ha dichiarato che il Nagorno-Karabakh altro non è se non l’Azerbaijan occidentale. Nella regione, un’enclave armeno all’interno del territorio azero, non ci sono più armeni. I 120mila armeni (su un totale di 145mila abitanti) sono fuggiti verso altre zone del Paese, di fatto svuotando il Nagorno-Karabakh. Il motivo dell’esodo è la mancanza di fiducia di questa popolazione, già vittima di un genocidio tra il 1915 e il 1919 a opera della Turchia, nei confronti del governo azero e delle sue promesse di protezione. Si tratta di una popolazione all’80% di lingua e cultura armena e di tradizione religiosa cristiana. Gli azeri, invece, sono di origine turcomanna e musulmani.