Prima Stalin, ora Putin. Prima l’Unione Sovietica, ora la Russia sovranista. Sono passati 70 anni da quando è nata l’Alleanza Atlantica ma il nemico resta sempre lo stesso. I segretari generali che si sono alternati al comando della Nato nell’ultimo mezzo secolo hanno avuto sempre lo stesso slogan: «Unità, coesione ed equa contribuzione» e oggi non fa eccezione. Jens Stoltemberg, l’ultimo ad avere quest’onore, ha ricordato ancora una volta questi temi durante le celebrazioni per festeggiare un’intesa che non soddisfa mai tutti i contraenti.

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I problemi del presente  – Fino alla caduta del muro di Berlino la Nato è rimasta un simbolo dell’unità dell’Occidente di fronte al nemico comune e ha avuto un ruolo cruciale nella caduta del comunismo russo. Negli ultimi anni, però, si è faticato a ritrovare l’unità in un contesto globale non più bipolare e incentrato sullo scontro tra ideali. Ora che le nebbie del Russiagate stanno iniziando a diradarsi, anche gli Stati Uniti si stanno riallineando all’accordo. In campagna elettorale il presidente Trump aveva bollato la Nato come obsoleta, ora tutti i discorsi sulla contribuzione ineguale degli Stati europei (che animano la politica americana fin dai tempi di Kennedy) si sono volatilizzati.
Il porfessore Massimo De Leonardis, ordinario di Storia delle relazioni delle istituzioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, è intervenuto proprio su questo tema al convegno organizzato  per celebrare questo anniversario. «Non c’è speranza che la Nato diventi il cervello politico dell’occidente» ha affermato prima di spiegare la sua visione dell’Alleanza Atlantica in relazione alla politica estera americana. Quello che gli Stati Uniti stanno facendo, sostiene, è confondere i nemici solo commerciali  (la Germania) con i nemici commerciali e militari (la Cina).  La Nato è un’organizzazione intergovernativa di stati sovrani che non può sanzionare le parti non adempienti ma il maggior azionista (gli Stati Uniti) può sanzionare chi non partecipa secondo le regole. Nonostante le lamentele dell’amministrazione, le truppe americane in Europa sono aumentate da 63.000 nel 2016 a 74.000 nel 2018 e l’establishment americano resta a favore dell’Alleanza. Le spese della Nato ammontano solo al 15% del budget della difesa americana ma hanno importantissime ricadute nell’ambito dell’industria degli armamenti statunitense.

Le sfide del futuro– Capacità, volontà e contribuzione. Con queste tre parole il segretario generale Jens Stoltemberg ha descritto il futuro dell’Alleanza Atlantica. Andrea Gilli, senior researcher in Military Affairs al Nato Defence College di Roma ha spiegato cosa significano concretamente. «Capacità si traduce in rapidità di intervento» ha affermato come prima cosa; infatti negli ultimi 6 anni è stato triplicato il numero di effettivi di reazione rapida in grado di rispondere ad un’invasione nel giro di pochissime ore. «La volontà, poi, si dovrebbe concretizzare nella rinuncia alla specializzazione di determinate branche dell’esercito di singole nazioni». Per fare un esempio, nel contesto di una risposta ad un’eventuale invasione russa è inutile che paesi come l’Italia o la Spagna (lontani dal confine) abbiano ingenti forze di terra mentre potrebbero contribuire in modo più efficace sviluppando l’aviazione o la marina. Lo stesso varrebbe per Polonia o Estonia, attualmente concentrate su uno sviluppo imponente delle loro forze di terra. «La contribuzione», ha affermato in chiusura il professor Gilli, «vorrebbe la partecipazione attiva di tutti i membri non solo ai budget ma anche alle esercitazioni» perché, secondo lui, «è solo grazie a manifestazioni come l’esercitazione Trident Juncture ( che nel novembre dell’anno scorso ha coinvolto oltre 50.000 effettivi ndr) che si può mostrare ai nemici della Nato che non conviene pianificare imponenti azioni militari ostili».