L’Ayatollah iraniano Ali Khamenei

Mille miliardi di dollari. Questa la cifra monstre che l’Iran si appresta a chiedere agli Stati Uniti come risarcimento per le sanzioni adottate contro Teheran dopo l’abbandono dell’accordo sul nucleare voluto da Donald Trump nel 2018. Una nuova provocazione che rischia di minare il riavvicinamento prospettato dal neo presidente americano Joe Biden nonostante la mediazione promessa dall’Unione Europea.

Una compensazione per i danni subiti – La richiesta viene direttamente dal ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che un’intervista al medium di stato PressTV ha detto: «L’Iran ha subito dalle sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti un danno enorme, quantificabile in mille miliardi di dollari». Da qui, ha spiegato Zarif, l’intenzione di negoziare qualche forma di compensazione o di riparazione con Washington dopo che sarà stato ripristinato l’accordo sul nucleare e saranno rimosse le sanzioni. «Le compensazioni», ha spiegato, «potrebbero assumere la forma di risarcimenti o di investimenti oppure tradursi in misure atte a evitare che si ripeta quanto fatto da Trump». Nel 2018 l’ex presidente americano aveva infatti annunciato che gli Usa si sarebbero ritirati dall’accordo sul nucleare iraniano firmato da Obama nel 2015 con Teheran e i Paesi del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania e aveva promesso contromisure sulla repubblica islamica accusandola di essere «un regime che sostiene il terrorismo in tutto il Medio Oriente e in grado di arrivare alla bomba atomica». Minacce poi concretizzatasi in sanzioni su ogni genere di attività: dalle vendite di petrolio, al commercio internazionale fino alle operazioni finanziarie.

Biden pronto al dialogo – «Gli Usa sono pronti a discutere una via diplomatica per andare avanti, lavoreremo con i nostri partner europei e con altri nella speranza che resti una chance per l’accordo nucleare sull’Iran». Così Biden è intervenuto sulla questione alla Conferenza di Monaco dello scorso 19 febbraio lasciando intravedere spiragli di dialogo. Ma il presidente americano ha anche precisato che «dobbiamo affrontare le attività destabilizzanti dell’Iran in Medio Oriente», facendo intendere come i nodi da sciogliere siano ancora molti, tra cui soprattutto quello di chi debba fare il primo passo: gli Stati Uniti, revocando tutte le sanzioni di Trump, oppure l’Iran, tornando al pieno rispetto dell’accordo e facendo marcia indietro sul piano per arricchire l’uranio al 20% comunicato non più tardi di un mese fa dal presidente Hassan Rohani. Altro fattore destabilizzante sono poi le resistenze a mettersi al tavolo delle trattative senza prima aver discusso la questione relativa ai missili balistici iraniani, pilastro irrinunciabile per le  politiche di difesa del regime e alle mosse in Medioriente. Senza dimenticare infine la posizione contraria dell’alleato Israele, convinto che «tornare al vecchio accordo spiani la strada dell’Iran verso un arsenale nucleare».

La mediazione Ue – «Uno sforzo diplomatico potenzialmente lungo e arduo», usando le ultime parole dell’alto funzionario del Dipartimento di stato americano, per il quale tuttavia l’Unione Europea offre la sua disponibilità a fare da mediatore. «L’Ue ha un valore aggiunto da portare al tavolo», ha scritto in un report nei giorni scorsi il direttore dello Istituto Affari Internazionali, Nathalie Tocci, «dato che la fiducia iraniana nell’Unione, in particolare nell’Alto rappresentante e nel Servizio europeo per l’azione esterna, è maggiore che verso l’E3», cioè Londra, Parigi e Berlino. Non a caso al G7 la cancelleria tedesca Angela Merkel ha ribadito il suo impegno per portare nuovo slancio nelle trattative: «Si devono trovare soluzioni per far rientrare l’accordo in vigore complessivamente. Ora si tratta di stabilire la sequenza dei passi da fare. E serve ancora un atto di bilanciamento diplomatico o un atto di forza, a seconda di come la si voglia vedere».

Le ragioni dello strappo – Alla base della decisione di Trump vi furono all’epoca soprattutto le parole del premier israeliano Benjamin Natanyahu, che impugnando migliaia di documenti raccolti dal Mossad accusò l’Iran di essere al lavoro per dotarsi di «almeno cinque ordigni nucleari analoghi a quelli utilizzati su Hiroshima». Ma le prove portate da Israele non convinsero il resto dalla comunità internazionale, dalla Francia alla Germania fino all’Ue nel suo complesso, che confermarono la loro permanenza nell’intesa nata per impedire all’Iran di sviluppare ordigni atomici senza tuttavia impedirgli di proseguire il programma volto alla produzione di energia nucleare ad usi civili. Oggi l’arricchimento registrato dell’uranio iraniano è al 4,5%, già sopra il limite del 3,67% fissato dall’intesa.