“I droni sono l’arma scelta da Obama”: così titolava la CNN il 19 Settembre. Allora, secondo l’analista Peter Bergen, il Nobel per la Pace della Casa Bianca aveva autorizzato già 283 attacchi in Pakistan con velivoli senza pilota, 6 volte più di W. Bush, uccidendo 4 volte il presidente guerrafondaio.
Oggi Obama si appresta a spiegare davanti al Congresso, il Parlamento americano, i principi legali e confidenziali che autorizzano l’uso di droni per uccidere cittadini americani all’estero.
Per capire perché bisogna tornare indietro di qualche giorno, a martedì, quando la NBC News pubblicava un memo riservato del Dipartimento della Giustizia risalente al 2010. In quelle 16 pagine si rivelava ai cittadini che avrebbero potuto, a rigor di legge, essere bombardati dai loro stessi droni. Ovviamente, a condizione di essere “membri anziani di Al-Qaeda” o di “forze associate”. Così nel 2011 erano periti in Yemen Anwar al-Awlaki e Samir Khan, incensurati cittadini a stelle e strisce.
Le associazioni dei diritti civili giudicano la pratica alla stregua di “esecuzioni sommarie”, che contrastano il principio costituzionale del processo garantito ad ogni americano, specialmente prima dell’esecuzione, anche per delitti commessi all’estero. Immediatamente al coro di proteste si sono uniti 11 senatori, che hanno fatto pressing sull’amministrazione Obama affinché il memo venisse spiegato alle due Camere, cosa che avverrà in giornata.
Sul bombardamento in Yemen, per la verità, si era già espresso ministro della giustizia americano Eric Holder. In un discorso alla Northwestern University School of Law di Chicago, nel marzo 2012, aveva definito un “diritto” del governo Usa l’eliminare cittadini statunitensi che rappresentino “una minaccia immediata”, ovvero cerchino di assassinare americani, magari come “leader operativi di Al Qaeda in terra straniera”. “Dobbiamo intraprendere passi per fermarli – aveva detto – in piena conformità con la Costituzione. In questa ora di pericolo, non possiamo certo permetterci di aspettare fino a quando i progetti mortali vengono concretizzati”.
Quel che Obama dovrà spiegare oggi è questo concetto di “autodifesa” da “imminente attacco”, forse un po’ allargato. Nel report si dice infatti che le condizioni di minaccia “non richiedono che gli Stati Uniti abbiano una prova chiara che specifici attacchi a cittadini o interessi americani avranno luogo nell’immediato futuro”. Il Presidente dovrà spiegare anche perché ha tenuto segreto il protocollo, dopo che nel 2009 aveva ordinato di pubblicare quello sulle interrogazioni della Cia durante il governo Bush. Obama finora aveva infatti rifiutato di fornire al Congresso i documenti classificati.
Tutta la vicenda pesa, anche perché il fautore della policy bombarola è John Brennan, il futuro capo della Cia. Per molti non è un caso che le ultime rivelazioni siano trapelate proprio nei giorni della sua nomina. Brennan è uno dei più ascoltati consiglieri di Obama, e alla Central Intelligence Agency ha trascorso oltre 25 anni. Viene considerato l’architetto delle esecuzioni mirate attraverso i droni, ed è stato anche il primo a informare il pubblico sul suo funzionamento, l’anno scorso. Una commissione del Senato lo interrogherà sul suo ruolo nella vicenda.
Secondo il New York Times, Obama ha consegnato i documenti perché punta ad intavolare, col supporto del Parlamento, una legislazione per l’uso dei droni. La mossa, tra l’altro, è piaciuta alle associazioni civili: l’American Civil Liberties Union ha definito la decisione di Obama un “piccolo passo nella giusta direzione”, verso la divulgazione anche parziale dei documenti più rilevanti.
Eva Alberti