La sciatrice ucraina Bogdana Matsotska che ha abbandonato le gare di Sochi in protesta con Yanukovich

La sciatrice ucraina Bogdana Matsotska che ha abbandonato le gare di Sochi in protesta contro il presidente Yanukovich. Foto Facebook

Quella degli atleti ucraini è solo l’ultima di una lunga serie. Che siano estive o invernali la storia delle Olimpiadi è piena di boicottaggi e proteste politiche. Non solo i boicottaggi di Stati concorrenti sul piano internazionale, specie negli anni della Guerra fredda tra i Paesi del patto atlantico e quelli legati all’Unione sovietica, ma anche vere e proprie proteste di atleti contro i propri governi o contro governi “occupanti”.

L’ultimo caso è di oggi giovedì 20 febbraio 2014 quando, ormai a tre giorni dalla fine delle Olimpiadi invernali russe di Sochi, alcuni atleti ucraini hanno deciso di lasciare le gare in aperta protesta contro le violenze e i morti negli scontri tra manifestanti e governo ucraino guidato dal presidente Victor Yanukovic. Lo ha confermato il Comitato olimpico internazionale: “Alcuni di loro hanno deciso di ritornare a casa – ha detto il portavoce del Cio Mark Adams -, Sergei Bubka presidente del comitato olimpico ucraino rispetta la loro decisione”. Il Cio non ha reso noto chi e quanti atleti della delegazione (43 i presenti) hanno deciso di ritirarsi. A schierarsi in prima persona contro il suo presidente la sciatrice Bogdana Matsotska che ha annunciato il suo ritiro su Facebook per solidarietà con i manifestanti di Kiev. “Mi rifiuto di gareggiare ancora”, ha scritto l’atleta, accusando il presidente di “irresponsabilità”.

Tra i casi eclatanti di protesta di atleti contro lo Stato per cui gareggiavano c’è quello del maratoneta coreano Sohn Kee- chung, conosciuto anche con il nome giapponese di Kitei Son. Oro nella maratona ai giochi Olimpici di Berlino del 1936, Kee- chung abbassò il capo una volta sul podio. Un gesto di sfida contro le forze nipponiche che avevano invaso la sua Corea. Stessa cosa fece la medaglia di bronzo Nam Sung Yong.

Un caso passato alla storia è quello dei giochi Olimpici di Città del Messico del 1968 quando, dopo aver vinto

John Carlos e Tommie Smith sul podio a Città del Messico nel 1968

John Carlos e Tommie Smith sul podio a Città del Messico nel 1968. Foto Aljazeera

le medaglie di oro e bronzo nei 200 metri piani, i due atleti statunitensi di colore Tommy Smith e John Carlos si presentarono sul podio con i guanti neri e il pugno alzato in segno di protesta contro le discriminazioni razziali in atto nel loro Paese. Stessa cosa fece la medaglia di argento Peter Norman, sul podio con lo stemma dell’Olympic Project for Human Rights.

Stessa edizione dei giochi olimpici, altra protesta. La ginnasta ceca Vera Caslavska, vincitrice di quattro ori e due argenti, si rifiutò di guardare la bandiera dell’Unione sovietica e abbassò il capo nel corso della premiazione. Contro l’occupazione dell’Urss in Cecoslovacchia.

Ora quella in Ucraina. Mentre la tregua olimpica non ferma gli scontri e i morti di Kiev.

Luigi Brindisi