Sarà fallito l’incontro Witkoff-Putin, sarà troppo filorusso il piano in 28 punti presentato da Washington, sarà impossibile convincere il presidente russo Vladimir Putin alla pace. Sarà quel che sarà, ma le trattative per la fine del conflitto continuano. L’avanzare delle negoziazioni ha un senso per gli americani e l’ha identificato il giornalista statunitense David Ignatius sul Washington Post: «Nonostante tutte le dure tattiche negoziali del presidente Donald Trump e la sua inspiegabile simpatia per l’aggressore russo, un accordo in Ucraina sembra più vicino». A Kiev non è ancora il tempo di esultare, ma dalle indiscrezioni citate dal quotidiano Usa l’amministrazione Trump sarebbe ben lontana dall’essere schiacciata sulla posizione di Mosca.
I tre documenti – Le conclusioni dell’editorialista arrivano dopo un dialogo tenuto con fonti ucraine, europee e statunitensi. I suoi informatori confermano che gli Stati Uniti “riconoscerebbero che la migliore protezione per l’Ucraina debba passare per garanzie di sicurezza vincolanti e prosperità futura”. Partendo da questo presupposto, i negoziatori USA Steve Witkoff e Jared Kushner hanno infatti proposto agli ucraini di dividere il progetto di pace in tre documenti principali: il piano di pace, le garanzie di sicurezza e un progetto per la ripresa economica.
Adesione all’UE – Da quanto estrapolato dal Washington Post, uno dei punti principali è l’adesione di Kiev all’Unione Europea. Secondo la volontà americana, gli ucraini dovrebbero entrare nell’UE già dal 2027. Nessuno dalle parti di Bruxelles si era mai auspicato una data così vicina, visto che neanche un capitolo negoziale è ancora stato aperto ufficialmente a causa del veto ungherese. L’idea del presidente Trump è però quella di riuscire a convincere il primo ministro di Budapest, Victor Orban il prima possibile. In ogni caso sapere che l’amministrazione Trump voglia a tutti i costi l’adesione di Kiev è un bel segnale per Ucraina ed Europa. Un suo ingresso nel club dei 27 indebolirebbe il suo legame secolare con Mosca.
Garanzie di sicurezza – Nei file legati alle garanzie di sicurezza, gli Stati Uniti fornirebbero assicurazioni «tipo-Articolo 5» della Nato. Gli ucraini richiederebbero due patti separati: uno firmato dal presidente Usa e ratificato dal Congresso, l’altro stipulato con gli europei. Rimane ancora un’incognita come potrebbero funzionare queste garanzie anche se «un gruppo di lavoro USA-Ucraina sta valutando i dettagli» scrive Ignatius.
Legati alla promessa di impegno militare c’è poi la difesa della sovranità ucraina. Per gli statunitensi “sarebbe protetta da qualsiasi veto russo”, ma allo stesso tempo i negoziatori risultano impantanati “con questioni delicate come i limiti all’esercito ucraino”. Gli ucraini non vorrebbero introdurre nessun target formale mentre nel piano statunitense si parlava di 600.000 unità. Una forza del genere sarebbe in ogni caso il contingente più grande dell’Unione. Con lo scopo di venire incontro a Kiev, Washington promuoverebbe l’istituzione di truppe paramilitari a rinforzo dell’esercito ufficiale.
I territori occupati – Le zone del Donbass che Mosca vuole conquistare sono il vero punto della discordia tra Kiev e Washington. Il punto di vista statunitense è quello che in ogni caso, entro sei mesi, Mosca la patrte dell’oblast di Donestk non ancora conquistato. Il presidente ucraino Zelensky, invece, non fa aperture in merito, sostenendo di non “aver alcun diritto legale di cedere territorio alla Russia”. Per cedere il 25 per cento dell’oblast di Donestk non occupato dai russi servirebbe infatti una revisione costituzionale.
Gli americani, secondo Ignatius, hanno pressato molto Zelensky su questo punto, offrendogli l’opzione di un oblast demilitarizzato. Il presidente ucraino si è sempre opposto. Sulla restante linea del fronte Witkoff e il suo staff propongono una zona demilitarizzata simile al modello coreano. Sono da approfondire ancora dettagli e infrastrutture. La Russia rimarrebbe così tagliata fuori da un muro di cinta.
Il piano di ricostruzione – Determinati a fare di più sono invece gli uomini di Trump quando si parla di investimenti finanziari e costruzioni immobiliari. Il gruzzoletto che fa gola a Trump sono i 200 miliardi di euro di asset russi congelati in Europa. A confermare la volontà a stelle e strisce di fare affari in Ucraina è l’indiscrezione sulla discussione in corso tra la Casa Bianca e il CEO di BlackRock, Larry Fink. L’idea è quella di rivitalizzare il piano per un Fondo di sviluppo ucraino per attrarre fino a 400 miliardi di dollari, coinvolgendo anche la Banca Mondiale. Inutile dire che anche in questo caso dalle parti del Cremlino non brinderebbero con la miglior vodka.




