Rimsha Malih

Un gruppo di cristiani manifesta per chiedere giustizia per Rimsha

L’Alta Corte di Islamabad ha archiviato il caso di Rimsha Masih, la bambina cristiana incarcerata lo scorso agosto in Pakistan per blasfemia e poi rilasciata dietro cauzione. Rimsha, che ha 14 anni e soffre di una disabilità mentale, era stata arrestata in una baraccopoli dopo che un vicino l’aveva sorpresa a bruciare alcune pagine con versi del Corano. Come si è accertato in seguito, le prove contro di lei erano state falsificate dall’imam della moschea del suo quartiere: il religioso, che è stato arrestato, aveva messo della carta bruciata nella borsa di Rimsha, con l’obiettivo di alimentare l’odio contro i cristiani e costringerli ad abbandonare l’area.

Secondo la Corte di Islamabad,  il caso deve essere archiviato perché “nessuno ha visto Rimsha Masih bruciare delle pagine del Corano”. Nella sentenza di 15 pagine, i giudici hanno aggiunto che “le accuse di blasfemia sono questioni molto delicate e che questi casi vanno trattati con attenzione”. Il tema è in effetti molto spinoso in Pakistan, dove il 97 per cento della popolazione è musulmano e il reato di blasfemia è punibile con la pena capitale.

Non nasconde la propria soddisfazione il cattolico Paul Bhatti, consigliere speciale del Primo ministro per l’Armonia nazionale e fratello del ministro per le Minoranze Shahbaz, massacrato dai fondamentalisti islamici nel marzo 2011 per aver difeso Asia Bibi, un’altra donna cristiana condannata a morte per blasfemia. Secondo Bhatti, interpellato da AsiaNews, la vicenda costituisce “un precedente importante” e dimostra che la legge “non potrà essere usata per fini personali” e che “chi avanza false accuse rischia di subire analoga sorte ed essere processato”.

“Non è una vittoria – chiarisce però il consigliere speciale – ma solo un elemento di giustizia”.

Antonio Soggia