Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha concluso domenica un tour che l’ha portato in cinque Paesi africani. Piatto forte della visita è stata l’implementazione della fornitura promessa da Pechino di tre diversi vaccini anti-Covid cinesi, giudicati efficaci anche se meno testati di quelli attualmente in commercio in Occidente. L’effettiva inoculazione dei vaccini in Africa sembra ancora di là da venire, ma il tema è di grande interesse economico e strategico.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi
Fonte: Ansa

«Egoismo» occidentale»? – Dopo l’approvazione dei vaccini Pfizer, Moderna e Oxford/AstraZeneca da parte delle principali agenzie del farmaco mondiali, è partita una corsa da parte degli Stati per ottenerne la maggiore quantità possibile. Le fiale previste per il 2021 sono all’incirca un miliardo, su una popolazione mondiale stimata in 7,8 miliardi di persone. Considerando che molti vaccini richiedono l’inoculazione di due dosi e che non è ancora chiaro per quanto tempo forniscano l’immunità, i governi occidentali si sono attivati opzionando un numero di dosi nettamente superiore a quello della propria popolazione. Questo avviene però inevitabilmente a spese delle aree più povere del pianeta, che rischiano di vedere imperversare ancora a lungo la pandemia e di subirne più a lungo le conseguenze economiche.

La strategia di Pechino – In questo contesto si inserisce la manovra geopolitica della Cina che, in contrapposizione a un Occidente descritto come egoista e ipocrita, si dice pronta a fornire a stati dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina milioni di dosi dei propri vaccini. E non è tutto: essendo molti di questi Paesi in croniche difficoltà economiche, aggravate dalla pandemia, Pechino è pronta a fornire prestiti con cui pagarli. Sebbene non ci sia ancora una timeline per consegna e somministrazione, è stata già messa a punto una “linea del freddo” per trasportare le fiale da Shenzhen ad Addis Abeba (Etiopia) e sono in costruzione strutture per l’immagazzinamento e lo smistamento dei vaccini al Cairo, in Egitto. L’aiuto di Pechino è parte di una strategia economica e di soft power in Africa ormai decennale. La Cina costruisce infrastrutture (sulle quali normalmente mantiene dei diritti), fornisce aiuti economici, tecnologie e know-how, in cambio di petrolio, materie prime e supporto politico, utile specialmente nelle organizzazioni internazionali.  È importante poi evidenziare come l’aiuto cinese venga fornito senza guardare minimamente al regime politico di chi governa, a differenza degli aiuti occidentali, legati al rispetto dei diritti umani.

L’eredità maoista – Sebbene l’interesse economico sia preponderante nella strategia del Dragone in Africa, sarebbe sbagliato tralasciare una visione ideologica. Sin dai tempi di Mao Zedong infatti, la Cina si è posta come un alleato naturale dei Paesi del Terzo Mondo, provenendo dal medesimo passato di oppressione coloniale e povertà. Nella visione maoista l’Africa avrebbe dovuto assumere centralità nell’arena politica, nell’ambito di una democratizzazione delle relazioni internazionali. La Cina doveva essere per i giovani Paesi nati dalla decolonizzazione un modello politico ed economico. Non trascurabile fu l’aiuto che la Pechino diede negli anni ’60 e ’70 ad alcuni Paesi africani, come attraverso la costruzione della ferrovia tra Tanzania e Zambia. Con l’esplosione economica avvenuta dopo le riforme di Deng Xiaoping, le risorse messe in campo per l’Africa sono infinitamente maggiori rispetto alla Cina maoista, e con esse le possibilità di ritagliarsi un soft power a spese dell’Occidente, presentato come un gigante neocolonialista in declino.