Il presidente russo Vladimir Putin. Foto Ansa

Il presidente russo Vladimir Putin. Foto Ansa

«La missione è compiuta». Queste le parole di Vladimir Putin per annunciare il ritiro delle truppe di Mosca dal territorio siriano a partire dal 16 marzo. A cinque anni dall’inizio delle ostilità in Siria, il ministero della Difesa russo ha reso noto che i primi aerei hanno già lasciato la base di Hmeimim, mentre quella di Latakia, da cui partivano i raid, rimarrà operativa. L’obiettivo del Cremlino sembra essere quello di facilitare i colloqui di pace che si tengono a Ginevra per trovare una soluzione al rebus Siria. «Sono state create le condizioni per far iniziare il processo di pace – ha dichiarato il presidente russo – una buona motivazione per dare inizio ai negoziati politici tra le forze del Paese».

Questa decisione potrebbe mettere d’accordo molti dei leader coinvolti nella vicenda siriana. Da Damasco a Washington, Putin sembra aver trovato appoggio sia da Barack Obama che da Bashar al Assad. C’è chi dice che nella serata del 14 marzo Obama e Putin si siano anche parlati al telefono per concordare ulteriori passi da fare. Rimangono però dei dubbi. I raid aerei russi, iniziati il 30 settembre 2015, avevano come obiettivo quello di dare ossigeno alle truppe lealiste di Damasco contro l’avanzata dell’Isis. Il piano di attacco rientrava quindi all’interno di una coalizione internazionale. E se è vero che lo Stato Islamico ha subito gli effetti della potenza di fuoco russa, è vero anche che controlla ancora vaste porzioni del territorio siriano, soprattutto a Palmira. Senza considerare che molti raid si sono concentrati in zone dove era maggiore la presenza dei ribelli anti Assad. Molti analisti si sono chiesti se la Russia volesse affrontare l’Isis o piuttosto spingere i ribelli a ripiegare. Anche perché lo zar Putin non ha mai ammesso il dispiegamento di forze “boots on the ground” per il sostegno al governo.

Intanto il 15 marzo inizia la nuova tornata di negoziati a Ginevra. Una delegazione siriana, guidata dall’ambasciatore Bashar al Jaafari incontra Staffan de Mistura, inviato speciale dell’Onu in Siria. La madre di tutte le questioni, secondo il diplomatico italiano, è la transizione politica. Non c’è un “piano B”: tutti, tranne Putin, vogliono la deposizione di Assad dal trono di Damasco. Le potenze diplomatiche di mezzo mondo vorrebbero mettere fine alla guerra in tempi rapidi e portare la Siria a elezioni democratiche entro 18 mesi. In 5 anni di combattimento, stando ai dati Onu, circa mezzo milione di persone vive nelle aree assediate, ma secondo Medici senza Frontiere sono molte di più, almeno 1,9 milioni. L’allarme dell’Unicef parla di 8,4 milioni di bambini (l’80 per cento del totale) che necessitano di soccorsi in Siria.

Alessio Chiodi