C’è anche la bugia di un’adolescente nelle vicende che hanno portato alla morte di Samuel Paty, l’insegnate francese decapitato lo scorso 16 ottobre da un islamista radicalizzato davanti alla scuola di Conflans-Sainte-Honorine, nelle Yvelines, a circa un’ora da Parigi. Il giorno in cui il professore 47enne aveva tenuto la lezione sulle caricature di Charlie Hebdo, all’origine della polemica sulla sua presunta islamofobia finita poi nel sangue, la giovane studentessa che lo aveva accusato non era nemmeno presente a scuola. Ha inventato tutta la storia per non deludere il padre, ma il peso delle conseguenze delle sue parole l’ha spinta a confessare la verità alla polizia.

La confessione – «Non ero presente il giorno delle caricature», ha ammesso la giovane agli inquirenti ricordando quel 6 ottobre, quando Paty, insegnante di Storia, Geografia ed Educazione civica della scuola media, decise di dedicare la sua lezione ad alcune delle caricature di Maometto pubblicate sul giornale satirico Charlie Hebdo. Lo riporta Le Parisienne: la ragazzina, spinta dalla gelosia verso la sorella maggiore, più diligente di lei nello studio, aveva raccontato al padre, 48 anni, che il professore l’aveva invitata a lasciare l’aula dopo aver chiesto agli studenti chi fosse di religione islamica. Sono le stesse parole che la ragazza riportò poi ai poliziotti subito dopo l’assassinio: «Mi disse che disturbavo in classe e mi di invitò a uscire». In realtà, le cose andarono diversamente: «Ho mentito su una cosa…», sono state le prime parole pronunciate della ragazzina agli inquirenti, quando, oltre un mese dopo la morte dell’insegnante, è stata fermata per falsa denuncia. Il professore aveva posto quella domanda ai suoi allievi per lasciarli liberi di decidere se partecipare o meno alla lezione, così da non urtare la loro sensibilità. Il senso di colpa nelle sue parole: «Se non avessi raccontato quelle cose a mio padre, tutto questo non sarebbe successo».

La bufera mediatica – Il racconto della studentessa aveva scatenato la rabbia del padre, che subito dopo l’accaduto aveva attaccato pubblicamente Paty e la scuola in due video su Twitter e YouTube per «cacciare il delinquente dalla scuola». Da quel momento la vita del docente è stata messa alla gogna mediatica e con essa la sua sicurezza. Nei video in questione l’uomo aveva reso noto il nome del docente e l’indirizzo della scuola, invitando la comunità musulmana a mobilitarsi contro le offese subite. Che non si trattasse di una lamentela qualunque è diventato evidente quando l’uomo si è presentato nell’edificio pretendo di parlare con il direttore. Con lui c’era Abdelhakim Sefrioui, membro del Consiglio degli imam di Francia, noto per le sue posizioni radicali. L’uomo inoltre aveva denunciato il professore per il possesso di immagini pedopornografiche, accuse del tutto infondate, da cui Paty aveva tentato di difendersi denunciando a sua volta il padre della ragazza per diffamazione. Ma ormai non si sentiva più al sicuro, come hanno poi raccontato le persone a lui vicine: «Negli ultimi giorni – si legge su la Repubblica – l’insegnante aveva paura, sapeva delle minacce di morte e c’era chi lo chiamava razzista».

Il dramma – La rabbia si è trasformata in follia omicida quando le accuse sono arrivate a Abdoullakh Anzorov, 18 anni, ceceno radicale residente nello stesso quartiere. Venerdì 16 ottobre, introno alle 17, si è scagliato contro Paty, che in quel momento si trovava proprio davanti la sua scuola. Lo ha decapitato con un coltello gridando «Allah Akhbar». Poco dopo, con lo stesso coltello aveva provato ad attaccare gli agenti che lo avevano raggiunto in un comune vicino, Éragny, dove era riuscito a scappare, ma è morto nello scontro a fuoco.

Le responsabilità – Si è detto «rammaricato» il papà della studentessa, sotto inchiesta per complicità in omicidio, per le conseguenze della sua campagna social. Ma è a lui che l’avvocato della figlia attribuisce le colpe dell’accaduto, rifiutando la tesi secondo cui la sua giovane assistita, che dopo un periodo di lezioni a distanza ora ha cambiato scuola, possa essere considerata l’unica responsabile della vicenda.