Hotel, case di lusso, stabilimenti balneari e se passo dal via 200 dollari di bonus. Una frase che si potrebbe adattare bene a una partita di Monopoli oppure al piano di Donald Trump per ricostruire la striscia di Gaza. L’idea del presidente degli Stati Uniti d’America, quella di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, ha scatenato le reazioni, per lo più negative, del mondo. Nettamente favorevoli solo il premier israeliano Benjamin Netanyahu e del ministro dei Trasporti italiano Matteo Salvini.
Riiqualificare Gaza – «Il mio piano piace a tutti», ha sostenuto The Donald. In cosa consiste il progetto per la ricostruzione di Gaza? Per il presidente degli Stati Uniti d’America i punti chiave da seguire sono tre: controllo americano della striscia, trasferimento dei palestinesi e trasformazione e sviluppo di Gaza in un vero e proprio paradiso, come una Montecarlo del Medio Oriente. Dal punto di vista del controllo, Trump sembra aver fatto un leggero passo indietro, ma la protezione Usa dovrebbe essere presente sia in campo economico, sia in termini di politica. Soprattutto quella estera, con nuovi accordi per garantire la stabilità e la cooperazione dei paesi del Medio Oriente. I palestinesi verrebbero trasferiti in Egitto e Giordania, «luoghi così belli da non voler più tornare a Gaza», come li ha definiti Trump stesso. Infine la ricostruzione delle zone devastate dalla guerra, tutto a opera degli Usa. Prima la pulizia dai detriti e dagli ordigni ancora sepolti, poi la ricostruzione con stabilimenti balneari, attrazioni turistiche e campagne di marketing con promozioni per le compagnie aeree.
C’è chi dice no – Dalla Cina a Teheran, passando poi per le Nazioni Unite, i dissensi sono arrivati a valanga. Gli stati arabi sono insorti contro la proposta reiterando ancora una volta l’idea dei due stati. Hamas stesso ha definito «ridicolo e assurdo» il piano di Trump, aggiungendo che respingeranno con fermezza ogni progetto per prendere il controllo di Gaza. Il ministro degli esteri iraniano ha definito «scioccante» l’idea di sfollare con la forza i cittadini palestinesi. Sulla stessa scia anche il portavoce del ministero degli Esteri cinese che, con parole forti, ha commentato: «Gaza non è una pedina di scambio, appartiene ai palestinesi. La comunità internazionale dovrebbe fornire aiuti e attivarsi immediatamente per la ricostruzione, piuttosto che aggravare la situazione». Con toni non tanto moderati è intervenuto anche il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: «Ogni spostamento forzato di persone equivale a una pulizia etnica. Qualsiasi soluzione deve restare fedele ai principi del diritto internazionale». Un no parziale e intestino anche dai piani alti del governo Usa. Marc Rubio, segretario di Stato, ha provato a smorzare le contestazioni, cercando di ricalibrare le parole di Trump: «Il Presidente vuole solo che i palestinesi lascino temporaneamente la striscia così da permettere la ricostruzione di Gaza. L’idea non è intesa come ostile». Sul fronte europeo tutti i paesi sembrano contrari al controllo di un paese terzo nelle questioni medio orientali, anche se per ora sono poche le risposte ufficiali.
C’è chi dice si – Fonti interne dichiarano che nemmeno Netanyahu fosse a conoscenza delle proposte di Trump. Ciononostante il premier israeliano si è detto estremamente favorevole. «Un’idea straordinaria, penso che dovrebbe essere davvero perseguita, esaminata e realizzata. Ho già dato l’ordine di programmare un piano per la partenza volontaria della popolazione di Gaza», ha dichiarato il premier a Fox News. Tra i pochissimi si, uno arriva dall’Italia, più precisamente dal ministro dei Trasporti, Salvini, intervistato da Rtl 102.5: «Se l’idea è liberare Gaza dall’estremismo islamico e restituirla a chi ci vuole vivere pacificamente e ci riesce è da Nobel per la pace, così come se riesce a chiudere la guerra in Ucraina, e ci riuscirà».