Il presidente russo Vladimir Putin (Foto Ansa/Epa/Mikhael Klimentyev/Sputnik/Kremlin Pool)

«Denazificazione» e «demilitarizzazione» dell’Ucraina. Sono gli obiettivi della Russia, e finché non saranno raggiunti non si potrà parlare di pace. L’ha detto il presidente russo Vladimir Putin nella sua conferenza di stampa di fine anno. È la prima volta che il conflitto viene affrontato nel tradizionale discorso di dicembre, che l’anno scorso non si era svolto forse proprio per le difficoltà della guerra. Il bilancio del 2023 è invece pronto per essere condiviso, tra i miliardi stanziati per lo sviluppo delle «nuove regioni russe» e l’importanza di rafforzare la sovranità senza la quale il Paese «non può esistere».

L’ottimismo sull’Ucraina – Per Putin proteggere la sovranità significa «aumentare la capacità di difesa e la sicurezza dei confini», come riporta l’agenzia di stampa Tass. Sulla guerra, ha detto che non sarà necessaria una seconda mobilitazione dei riservisti: i soldati russi in Ucraina sono più di mezzo milione (617.000), schierati lungo una linea di contatto di 2mila chilometri. Stando a quanto dichiarato, la maggior parte sarebbero volontari. Nelle parole del presidente la controffensiva ucraina è fallita, mentre le forze di Mosca stanno «migliorando le loro posizioni». Ha aggiunto che nel 2022, durante le trattative dei due Paesi a Istanbul, si era raggiunto un accordo sui parametri per una demilitarizzazione dell’Ucraina, ma Kiev «ha buttato tutto nel camino». Quanto alle cosiddette «nuove regioni» (le ex ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia), ogni anno nel budget della Federazione saranno stanziati 11 miliardi di dollari (mille miliardi di rubli) per permettere «la loro graduale integrazione nella vita sociale ed economica russa».

Gli occhi su Orban – Nelle stesse ore a Bruxelles si sta discutendo dei negoziati per l’adesione di Kiev all’Unione Europea. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in videocollegamento con il Consiglio europeo ha detto «Non tradite i cittadini e la loro fiducia nell’Europa». Ha sottolineato che Kiev ha approvato le leggi chiave richieste dall’Unione e che «abbiamo rispettato ogni obbligo». Gli occhi di 26 leader sono in realtà puntati sul ventisettesimo, il premier ungherese Viktor Orban, contrario all’ingresso dell’Ucraina. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il francese Emmanuel Macron e il tedesco Olaf Scholz l’hanno incontrato nelle ultime ore per convincerlo a dare il suo assenso. La premier Giorgia Meloni ha avuto invece con il primo ministro ungherese un colloquio a due. «L’allargamento non è una questione teorica. L’allargamento è un processo giuridicamente dettagliato, basato sul merito e che presenta dei presupposti. Tre dei sette stabiliti non sono stati soddisfatti», ha detto Orban prima della riunione. Concetto che ha poi ribadito in un tweet: «Non ci sono eccezioni».

Un politico vecchio stampo – Per Putin, di politici come Orban «non ce sono più». Nominato nel discorso di fine anno il primo ministro ungherese è stato definito «non filorusso, ma filonazionale». Come anche lo slovacco Robert Fico, accusato dagli oppositori di essere troppo vicino al Cremlino, Orban «difende i suoi interessi».