Un fragile equilibrio regge la tregua tra Israele e Hamas. A reggerlo, un puzzle di attori internazionali che da 15 mesi lavorano per trovare un accordo (non ancora finalizzato) tra le due parti.
Qatar, il tavolo della trattativa – Forte della duplice alleanza con islamisti e Stati Uniti, il Qatar ha svolto un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’accordo che prevede un cessate il fuoco, la liberazione da parte di Hamas degli ostaggi Israeliani ancora nella Striscia di Gaza e il rilascio di alcuni prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri di Israele. In Qatar risiedono gli uffici politici di Hamas e i negoziati si sono svolti proprio nella capitale qatarina Doha, alla presenza del primo ministro, Tamim bin Hamad Al Thani. Sin dall’inizio del conflitto, l’obiettivo dei mediatori di Al Thani è stato negoziare con il leader di Hamas Sinwar per una tregua.

L’Emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani (Sputnik/Vyacheslav Prokofyev)
L’Egitto e il corridoio Filadelfia – I 14 chilometri di lunghezza per 100 metri del Corridoio Filadelfia hanno tenuto in stallo i negoziati tra Israele e Hamas. Situato al confine tra Egitto e Gaza, comprende anche il valico di Rafah ed è l’unico accesso alla Striscia che non passi per Israele. Netanyahu non intendeva cedere il controllo, l’Egitto non vuole truppe ammassate lungo il suo confine. Per questo il lembo di terra ha assunto un ruolo chiave tra i punti dell’accordo.
Fonti egiziane hanno riferito al canale qatariota alArabiya che la maggior parte delle forze dell’Idf, l’esercito israeliano, avrebbero già lasciato il corridoio Filadelfia nelle ultime ore. Secondo una copia dell’accordo visionata da Reuters, Israele ridurrà gradualmente le forze nella zona cuscinetto durante la fase uno dell’accordo, con le forze che completeranno il loro ritiro entro 50 giorni dalla firma.
Gli Stati Uniti e il ruolo dei due presidenti – Il governo statunitense, in particolare nella persona del segretario di Stato Anthony Blinken, ha avuto un ruolo preminente nell’individuazione dei termini per un potenziale accordo. Agli incontri più recenti ha partecipato anche Steve Witkoff, l’inviato per il Medio Oriente scelto dal presidente eletto Donald Trump. Il tycoon ha definito la svolta una conseguenza diretta della sua vittoria elettorale alle presidenziali di novembre: «Questo è solo l’inizio di grandi cose a venire per l’America e, in effetti, per il mondo!» ha scritto sul social Truth poco dopo l’annuncio dell’accordo.
In chiusura della conferenza stampa svoltasi il 15 gennaio, il presidente Joe Biden è stato interpellato sui suoi meriti e quelli di Trump nel raggiungimento del cessate il fuoco. Alla domanda rivoltagli da una giornalista – «Chi avrà il merito della tregua a Gaza, lei o Trump?» – Biden, rimasto spiazzato, si è limitato a rispondere «È uno scherzo?». Poco prima aveva affermato che l’accordo raggiunto da Israele e Hamas nasceva nella «cornice» elaborata dalla sua amministrazione a maggio. Il presidente uscente ha tuttavia sottolineato il coordinamento che c’è stato con l’amministrazione entrante, alla quale spetterà il compito di «implementare» l’accordo.
Cina, l’altro accordo – È forse il soggetto meno atteso tra quelli in gioco in Medio Oriente, ma anche la Cina ha svolto un ruolo che potrebbe rivelarsi chiave nello scenario post-conflitto. A luglio a Pechino 14 fazioni palestinesi, tra cui le rivali Hamas e Fatah (organizzazione politica e paramilitare palesitinese, facendo parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina), hanno firmato un accordo di “unità nazionale” volto a mantenere il controllo palestinese sulla Cisgiordania e su Gaza una volta conclusa la guerra.