Ennesimo episodio di violenza e tensione in Cisgiordania: a meno di due settimane dall’ultimo attacco, nella notte tra il 2 e il 3 luglio l’esercito israeliano ha lanciato un’operazione militare su larga scala nel campo profughi di Jenin, provocando almeno sette morti e 30 feriti.

L’area di Jenin coinvolta nell’attacco (BBC)

Il raid – Secondo il comando militare dello Stato ebraico, l’attacco è scattato poco dopo la mezzanotte dal posto di blocco di Al-Jalama: obiettivo primario un appartamento utilizzato come centro di comando operativo congiunto delle Brigate Jenin, milizia composta dai diversi gruppi armati palestinesi, tra cui Hamas e Jihad islamica. Il portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) Richard Hecht ha poi annunciato la distruzione di un deposito di armi strategico, localizzato tra una scuola e alcuni magazzini dell’ UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente). Secondo la ricostruzione delle testimonianze dei residenti e di Al Jazeera, alle prime ore del 3 luglio l’esercito avrebbe lanciato almeno 10 attacchi aerei con droni e missili, causando il crollo di alcuni edifici in cui risiedono moltissimi civili. Subito dopo il primo assalto, un convoglio di 150 veicoli corazzati israeliani ha circondato il campo profughi, lanciando un’operazione militare di terra e provocando gravi danni a case e strade.

Jenin, città di sangue – Dal 2022 i raid israeliani in Cisgiordania si sono intensificati: secondo l’Ong per i diritti umani israeliana B’Tsalem, l’anno scorso sono state quasi 200 le vittime palestinesi degli attacchi militari in West Bank. Le recenti operazioni a Jenin, tuttavia, hanno ricordato per modalità e forze impiegate le scene cui si è assistito l’ultima volta nella città nel 2002, durante la seconda Intifada palestinese.

Le strade di Jenin dopo il blitz israeliano (Wafa)

Allora, come oggi, Jenin è il centro politico in cui si riuniscono tutte le forze armate palestinesi di tutte le fazioni, dalle frange religiose della Jihad Islamica a quelle meno radicali come Fatah. Nel 2002, non lontano dal luogo dell’attacco del 3 luglio, nell’arco di una settimana si consumarono scontri che portarono alla morte di 52 combattenti palestinesi e 23 soldati israeliani. Da inizio 2023, i blitz nella città sono sempre più frequenti e sanguinosi: l’obiettivo delle operazioni è quello di neutralizzare i leader dei combattenti delle varie fazioni armate palestinesi, protagoniste degli attacchi avvenuti negli ultimi mesi contro soldati e coloni.

Una strage continua –  Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Wafa, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha convocato una riunione d’urgenza con i vertici del governo per parlare delle contromisure da adottare dopo il raid israeliano. «Condanniamo con massima fermezza la barbara aggressione israeliana contro il nostro popolo a Jenin», ha affermato il portavoce Nabil Abu Rudeinah, «ciò che il governo di occupazione israeliano sta facendo a Jenin è un nuovo crimine di guerra contro il nostro popolo indifeso». Da inizio 2023, i palestinesi uccisi per mano dell’IDF sono già stati 185, di cui la maggior parte in Cisgiordania (130). Più di 25 invece i civili e militari morti da inizio anno nelle file israeliane.