Nei dintorni di Ashdod, Sud di Israele, è finalmente tornata la calma. Solo il suono di una sirena ha fatto temere che la tregua firmata Mercoledì tra Hamas e Israele, entrata poi in vigore alle 19 di ieri, si fosse già interrotta. Falso allarme.
Sono stati necessari otto giorni di guerra per ottenere una vittoria diplomatica. L’Egitto, guidato dal presidente Mohammed Morsi, sarà il garante della pace. Israele si impegna a bloccare gli omicidi mirati, a riaprire i valichi e permettere il passaggio di beni di prima necessità, ad interrompere il bombardamento sulla Striscia. Da parte sua, Hamas ha promesso di impedire il lancio di razzi sul suolo dello Stato ebraico.
Khaled Meshal, leader politico del partito islamista, ha annunciato la tregua come una vittoria, ringraziando sia il Cairo che Teheran. Al presidente egiziano Morsi, appartenente ai Fratelli Musulmani, è stato riconosciuto il ruolo di interlocutore privilegiato tra il mondo arabo e quello occidentale. Non hanno preso parte al negoziato invece il turco Erdogan e il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, rimasto sullo sfondo per tutta la durata della crisi.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dovuto anche rompere con il suo principale alleato politico, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, a capo del partito nazionalista che sostiene il governo israeliano e insiste per il pugno di ferro contro Hamas. Ha invece prevalso il pragmatismo e la volontà di limitare il costo umano ed economico di un conflitto che Israele avrebbe faticato a sostenere.
Sempre che regga anche nei prossimi giorni, la tregua è anche un successo per Barack Obama. Il presidente americano ha affrontato la prima crisi internazionale dopo la sua rielezione ottenendo la fine delle ostilità.
Carlo Marsili