«Se credete nella Gran Bretagna e che i nostri giorni migliori devono ancora arrivare, datemi il vostro supporto per guidare questo Paese». Dopo sette settimane di campagna elettorale segnata dal terrorismo, è arrivato il giorno della verità per Theresa May. Protagonista assoluta della scena, il primo ministro uscente sa di giocarsi tutto il suo destino politico nelle urne apertesi giovedì 8 giugno alle 7. Nell’appello finale agli elettori, May è tornata a sottolineare la ragione centrale per la quale sostiene di aver richiesto la convocazione delle elezioni anticipate: ottenere dagli inglesi una maggioranza ampia in Parlamento per negoziare la Brexit da una posizione di forza. Ma gli attacchi dell’Isis hanno portato al centro del dibattito politico altri temi. E il leader laburista Jeremy Corbyn sogna una rimonta clamorosa.

Jeremy Corbyn all’arrivo al seggio elettorale, la mattina di giovedì 8 giugno (Foto James Gourley/Rex/Shutterstock)

LA SFIDA DEL TERRORISMO – Mai, dalla strage di Atocha a Madrid del marzo 2004, un Paese europeo si era recato alle urne con in testa lo shock ancora vivo di un attacco terroristico. Sono passati soltanto quattro giorni dall’ultimo agguato firmato da tre terroristi affiliati all’Isis, uno dei quali di origine italiana, sabato sera nel centro di Londra. L’ultimo di una sfilza di attacchi al cuore del Paese, dopo la corsa omicida in auto di Khalid Masood sul ponte di Westminster, lo scorso 22 marzo, e dopo la bomba fatta saltare dal kamikaze Salman Abedi alla Manchester Arena durante il concerto di Ariana Grande, due mesi dopo. Ecco perché il tema della sicurezza ha dominato una campagna elettorale nata per chiarire i termini del negoziato sulla Brexit. E le polemiche, al netto delle brevi interruzioni degli scontri verbali subito dopo gli attacchi, non sono mancate. Accusato di debolezza sui temi della lotta al terrorismo, Corbyn ha contrattaccato ricordando i tagli alle forze di polizia decise da May quando era ministro degli Interni. Trappole tese sul cammino della leader conservatrice verso la riconferma, che secondo alcuni sondaggisti hanno sortito i loro effetti.

GLI ULTIMI SONDAGGI – Partita lo scorso 18 aprile con un vantaggio dilagante di 20 punti percentuali sul rivale, Theresa May sembra aver perso terreno tra gli elettori in tutte le rilevazioni diffuse nell’ultima settimana. Anche se tra i pollsters inglesi regna la discordia: se per l’Icm la May resterebbe avanti di 12 punti, per altri i due leader sarebbero giunti al D-day elettorale quasi appaiati (41-40% per i Tories). A penalizzare il primo ministro, oltre alle polemiche sulla sicurezza dopo i tre attentati della primavera inglese, le incertezze e i passi falsi compiuti di fronte all’opinione pubblica. Dalla promessa stessa di non ricorrere all’arma delle elezioni anticipare, tradita a sorpresa, alla figuraccia della dementia tax, la tassa sulle spese sanitarie da far pagare direttamente agli anziani, poi ritirata in fretta e furia. Sino al rifiuto di confrontarsi con i contendenti in qualsiasi dibattito Tv, apparso a molti come un segnale di debolezza personale e politica.

IL SISTEMA DI VOTO – A rinfrancare i Tories, oltre all’appoggio negli ultimi giorni di quasi tutti i giornali britannici, compresi i tabloid più venduti come Sun Daily Mail, è il sistema elettorale inglese. Che prevede la vittoria secca del candidato più votato in ognuno dei 646 collegi elettorali del Paese. Se gli ultimi calcoli della May sono corretti, i conservatori potrebbero conquistare la maggioranza non solo nelle vaste regioni di provincia e di campagna, ma anche nelle città industriali del Nord tradizionalmente bastioni del Labour, come Coventry. Agli osservatori, e alla Regina che dovrà dare secondo la prassi l’incarico di formare il governo al leader del partito più votato, non resterà che aspettare le 22 di questa sera (le 23 in Italia), termine delle operazioni di voto. O qualche ora in più, a seconda dello scarto che separerà i due grandi partiti che, sgonfiatosi con la Brexit l’Ukip di Farage e quasi scomparsi i centristi LibDem, restano a dominare la scena politica inglese.