Doveva essere il giorno della consacrazione popolare per Theresa May, è stato un giovedì sera da incubo per la premier uscente del Regno Unito. Dalle urne convocate per tramortire definitivamente i partiti d’opposizione e rinsaldare il governo conservatore esce un verdetto amarissimo per la sessantenne ex ministro degli Interni. 318 seggi, a scrutinio quasi terminato, è il bottino racimolato dai Tories nella snap election indetta a sorpresa a metà aprile. Abbastanza per restare il primo partito del Paese, non abbastanza per formare un governo in solitudine. La scommessa di allargare il bacino della maggioranza, obiettivo esplicito di May, è insomma clamorosamente fallito: rispetto alla legislatura precedente, ora i Tories avranno 12 deputati in meno. E sono costretti a studiare nuove soluzioni di compromesso per restare al governo.

LE REAZIONI – «Il Paese ha bisogno di certezze. I voti che abbiamo ottenuto ci danno stabilità». Così Theresa May ha commentato l’esito del voto di fronte ai giornalisti davanti a Buckingham Palace, nel primo pomeriggio di venerdì. Visibilmente delusa per la vittoria dimezzata, May è andata dalla Regina Elisabetta per ottenere l’incarico di formare un nuovo governo, quale leader del partito più votato. Una legittimità contestata fin dalle prime ore del mattino da Jeremy Corbyn, il leader dei laburisti galvanizzato dal risultato imprevisto del suo partito, tornato a crescere dopo anni di batoste elettorali. Appena 2,5 i punti percentuali di distacco dai Tories nel voto aggregato nazionale (42,5 a 40 a conteggi quasi ultimati). Tanto che Corbyn non ha perso tempo per ringraziare gli elettori ed attaccare frontalmente la premier uscente, denunciando come May e i conservatori non abbiano a questo punto più «nessuna autorità» per guidare il Paese.

GLI SCENARI – Dopo le prime ore di disorientamento seguite alla diffusione dei risultati elettorali, fedeli quasi del tutto ai primi exit poll resi pubblici alla chiusura dei seggi, con i media inglesi e non solo che battevano insistentemente sullo scenario inedito dell’hung Parliament, il Parlamento appeso o ingovernabile, sembra delinearsi lo scenario di coalizione scelto dai conservatori. Theresa May ha anticipato alla Regina, che per tradizione legge nella prima seduta parlamentare il discorso d’orientamento politico di ogni nuovo esecutivo, di voler cercare l’accordo politico con i nordirlandesi del Democratic Unionist Party. Un’intesa non facile e che promette di garantire a May una maggioranza comunque risicata, considerato che il Dup ha ottenuto appena 10 seggi nel nuovo Parlamento. La speranza dei conservatori è che nell’appoggio al governo si uniscano, su base strutturale o di volta in volta, altri deputati di partiti minori, ma lo scenario di un governo instabile sembra materializzarsi anche per il Regno Unito.

LEADER FRAGILE – A prescindere da come proseguiranno le trattative per la formazione di una nuova maggioranza in Parlamento, è certo che May esce – al contrario delle aspettative sue e di molti osservatori sino a poche settimane fa – gravemente indebolita dall’esito del voto. Se fallisce il tentativo di formare un governo di coalizione con i Dup, o comunque in caso di un altro passo falso della leader londinese, c’è già chi sta già lavorando a un’eventuale successione. Personaggi di peso del partito conservatore, primo fra tutti quel Boris Johnson, ex sindaco della capitale, che gode di una certa popolarità nell’elettorato e non ha mai nascosto la sua simpatia per la scelta anti-establishment della Brexit, ben prima che May puntasse sulla stessa scelta. Il divorzio tra Regno Unito e Unione Europea, un dossier ancora pieno d’incognite, sarà comunque il primo tema sul tavolo del prossimo governo, con la Commissione Ue ansiosa di cominciare al più presto le discussioni per condurre in porto senza ulteriori ritardi il negoziato di uscita dall’Unione degli inglesi. Che a quel tavolo, ora, si siederanno più deboli di prima.