La cosa che riesce meglio a Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Turchia, è muoversi sul terreno della geopolitica attraverso l’antico principio del do ut des. Nulla è regalato, nulla è concesso senza avere qualcosa in cambio. E i Paesi occidentali sono sempre stati al suo gioco. È dal 2016 che, per esempio, l’Europa paga la Turchia per tenere ben chiuse le sue frontiere ed evitare che i 3,7 milioni di rifugiati siriani si spingano verso i confini dell’Unione. Sulla carta, «un sostegno finanziario per fornire assistenza umanitaria, un’ancora di salvezza per chi ne ha più bisogno», nella realtà, un pacchetto da 3 miliardi di dollari (che si estinguerà nel 2024) nelle tasche di un dittatore (copyright Mario Draghi) pronto a usare milioni di vite umane come arma contrattuale.
Ora Svezia e Finlandia, spalleggiate dalla Nato, cedono a un nuovo «contratto» e, senza batter ciglio, assicurano a Erdogan la «piena cooperazione» contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) in cambio della rimozione del veto turco al loro ingresso nell’Alleanza atlantica. In questo caso non solo l’ennesimo accordo opportunistico, ma un vero e proprio tradimento nei confronti del popolo curdo che da più di 10 anni è il primo alleato dell’Occidente nel contrastare l’avanzata dell’Isis. Quasi 3000.000 persone di etnia curda sono sfuggite alla persecuzione del presidente turco trovando rifugio nei due Paesi scandinavi.

Il memorandum a tre – Con il memorandum trilaterale firmato il 28 giugno, Svezia e Finlandia hanno acconsentito a tutte le richieste turche, almeno a detta di Ankara. La rimozione dell’embargo sulla vendita di armi alla Turchia, l’interruzione di ogni tipo di sostegno alle Unità di Protezione Popolare (Ypg) e al Partito dell’Unione Democratica (Pyd), rispettivamente braccio militare e politico dei curdi siriani e, soprattutto, l’estradizione di decine di rifugiati politici, principalmente legati al Pkk, movimento separatista curdo con cui la Turchia è in guerra dal 1984 considerato un’organizzazione terroristica anche da Usa e Ue. Nel mirino anche alcuni oppositori accusati di aver avuto un ruolo nel colpo di stato del luglio 2016 e di far parte della Feto, l’organizzazione del presunto golpista, il predicatore e politologo turco Fethullah Gülen, esule negli Stati Uniti. La Turchia, come ha ricordato pochi giorni fa Erdogan, non approverà l’intesa finché «Svezia e Finlandia compieranno il loro dovere».

Liste – Mentre i due Paesi scandinavi negano di aver ricevuto una lista preconfezionata di individui da «consegnare» alla giustizia turca e promettono che ogni processo di estradizione passerà per l’iter legale tradizionale, Erdogan sembra avere le idee molto chiare sugli oppositori che vuole riavere in patria. In base a quanto dichiarato dal ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag, dei circa 250mila curdi ospitati in Svezia, porto sicuro fin dagli anni ’70, sarebbero almeno 73 quelli a rischio espulsione, tra cui 11 accusati di avere legami con i curdi del Pkk e 10 di aver partecipato al tentato golpe del 2016. Dei circa 30mila rifugiati in Finlandia, invece, Ankara attende cinque separatisti e cinque presunti golpisti, più altri due accusati di altri reati.