I dubbi sul viaggio dell’aereo di Putin. Le parole e la sparizione di Evgenij Prigozhin. I sospetti avanzati dalla Cia che al Cremlino si sapesse in anticipo dell’insurrezione della Wagner. Le teoria di chi pensa che dietro alla marcia dei mercenari su Mosca dei mercenari ci sia, in realtà, lo stesso Putin. Se la ricostruzione degli eventi del 24 e 25 giugno è già stata fatta e i media internazionali hanno seguito in diretta lo sviluppo della vicenda, più difficile è fare chiarezza su tutto quello che non è in primo piano. L’impressione è che quanto sta accadendo confermi che, dopo 25 anni di dominio putiniano, la Russia sia tornata a essere un mondo indecifrabile per gli osservatori occidentali, alla stregua di quanto accadeva quando ancora esistevano l’Unione Sovietica e il Partito Comunista e le sue lotte per il predominio. Così, con un accesso limitato alle fonti necessarie per capire le strutture di potere di Mosca, tornano importanti la figura e il ruolo del “cremlinologo“, colui che tenta di compensare la mancanza di informazioni certe con l’osservazione dei piccoli gesti degli uomini al vertice e con l’interpretazione degli oscuri discorsi ufficiali, in cui spesso il sottotesto (chi dice cosa, come e quando) è più impoertante del testo.
Passato e presente – Negli anni della Guerra Fredda, il “cremlinologo” era una figura di riferimento per la stampa occidentale: osservava le parate di regime e chi vi partecipava, studiava i discorsi e i comunicati dei vertici dell’Urss cercando di leggere tra le righe, cercando di indovinare quale aria tirasse a Mosca. Un lavoro non semplice, esposto a rischi di imprecisione molto alti, eppure necessario per provare a capire un mondo da cui non filtravano informazioni. La situazione è cambiata con la caduta del Muro di Berlino e il dissolvimento dell’Urss. Con la formazione di istituzioni liberali, per quanto incerte, l’accesso alle informazioni divenne più libero e, quindi, divenne più facile raccontare, studiare e capire la Russia. Con la lunga presidenza di Vladimir Putin, però, le cose sono cambiate di nuovo. «Con l’irrigidimento del regime gli spazi di ricerca si sono ridotti, mentre l’opacità dei canali di comunicazione è altissima», commenta Federico Varese, direttore del Dipartimento di studi sociali all’Università di Oxford e professore di criminologia, nonché esperto di Russia. «Se un regime non è democratico è più difficile studiarlo. L’informazione è sempre meno libera e quindi, purtroppo, torniamo al cremlinologo degli anni Settanta». Con l’aggiunta, specifica, che rispetto ad allora la disinformazione è maggiore, «totale».
Prospettive future – La progressiva chiusura di Mosca alla libera informazione, che la guerra ha solo aggravato, non è un problema solo per gli osservatori internazionali, ma anche per Putin stesso. Chiudere i canali di informazione, spiega Varese, significa che chi comanda si priva della possibilità di sapere che cosa pensa la gente. «Anche lui, quindi, ha meno informazione. Si indebolisce la nostra capacità di capire ma anche la sua. Lo stesso avveniva nella Russia di Stalin». Gli effetti di questa dinamica si sono visti, sempre secondo Varese, con la guerra in corso: a Mosca si pensava che sarebbe stata un’operazione veloce e che la popolazione ucraina avrebbe accolto i russi come liberatori, ma queste convinzioni erano dettate da una scarsa comprensione del contesto.
«La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma», disse una volta Winston Churchill. Era il 1939 e il primo ministro britannico commentava la spartizione della Polonia da parte della Germania nazista e dell’Unione sovietica. La stessa frase si potrebbe utilizzare oggi per descrivere il regno di Putin: «Si va in quella direzione», chiosa Varese.