Donald Trump ricorre ancora una volta alla sua arma preferita, Twitter, per difendersi dalle dichiarazioni rilasciate ieri, 29 maggio, da Robert Mueller nel suo annuncio di dimissioni dal ruolo di procuratore generale. L’uomo che ha condotto per due anni l’inchiesta sul Russiagate, il caso sulle interferenze russe nelle elezioni americane del 2016 e su un eventuale coinvolgimento del comitato elettorale di Trump, ha peggiorato la posizione dell’inquilino della Casa Bianca. «Come incriminare un presidente repubblicano per un crimine che è stato commesso dai Democratici? CACCIA ALLE STREGHE», ha twittato il presidente americano, in tono molto meno istituzionale di quello già usato in precedenza: «Nessun cambiamento dal rapporto di Mueller. Non c’erano prove sufficienti e quindi, nel nostro Paese, una persona è innocente. Il caso è chiuso! Grazie».

Il discorso di Mueller – Per la prima volta da quando si è occupato del Russiagate, Robert Mueller ha deciso di rilasciare una dichiarazione pubblica. Un discorso per annunciare le sue dimissioni dal dipartimento di Giustizia ed esprimere il desiderio di ritirarsi a vita privata. Oltre, ovviamente, a chiarire gli aspetti più delicati del rapporto ufficiale divulgato il 18 aprile che, a una prima e superficiale lettura, sembrava aver alleggerito la posizione di Trump. Invece, Mueller ha prima di tutto precisato come la sua inchiesta non avesse come obiettivo possibile l’incriminazione del presidente, dal momento che l’apparato istituzionale americano non lo consente per non violare la separazione dei poteri. Una conclusione a cui poteva giungere Mueller era sulla totale estraneità dai fatti di Trump, sia nel coinvolgimento sulle interferenze elettorali russe, che sui suoi successivi tentativi di ostacolare il lavoro della giustizia . Per l’ex capo dell’Fbi però, alcuni elementi emersi nelle indagini non hanno reso possibile il totale scagionamento di Donald Trump: «Se dopo la nostra attenta analisi dei fatti fossimo convinti che il presidente non abbia ostacolato la giustizia, lo diremmo. Sulla base dei fatti e delle leggi, non possiamo arrivare a questa conclusione. Di conseguenza, per quanto questo rapporto non concluda che il presidente ha commesso un reato, non lo esonera nemmeno», ha dichiarato Mueller.

Robert Mueller durante il discorso pronunciato ieri

Le (non) accuse – Se la figura di “The Donald” resta circondata da un velo di ambiguità, alcuni aspetti si presentano con molta più chiarezza. Mueller ha esplicitamente confermato come la Russia abbia interferito a favore di Trump nelle elezioni del 2016 contro Hillary Clinton con la creazione di profili social falsi per diffondere fake news e hackeraggio di documenti, mail e dati riservati, diffusi poi attraverso Wikileaks e vari siti internet. Oltretutto, è stato appurato come alcuni esponenti del partito repubblicano, sostenitori della campagna di Trump, fossero consapevoli di queste attività illegali, seppur gli indizi maturati non siano stati reputati decisivi per portare a un’incriminazione. In ultimo, il rapporto e Mueller hanno confermato come Trump abbia tentato a più riprese di ostacolare il lavoro d’indagine, scontrandosi però con l’inappuntabilità delle persone che lo circondavano, che mai hanno eseguito i suoi ordini.

E ora? – Mueller non ha mai menzionato del suo discorso la parola magica impeachment, limitandosi a evidenziare come esistano altre possibilità per mettere sotto accusa un presidente. Desta curiosità ora la strategia futura dei Democratici, che dopo le elezioni di midterm dello scorso novembre hanno preso la maggioranza di una delle due camere del Congresso, la Camera dei rappresentanti. Tenteranno di intraprendere la via della messa in accusa? Nancy Pelosi, portavoce dei Democratici alla Camera, ha dichiarato che «il presidente non è al di sopra della legge e il Congresso continuerà ad indagare e a legiferare per proteggere le nostre elezioni». Mueller però si è già chiamato fuori da un’eventuale testimonianza al Congresso: «Tutto quello che dovevo dire è scritto nel rapporto».