La conferenza stampa a Bruxelles dopo il vertice d’urgenza del 6 gennaio. Nella foto Schroder, Johansson, Stojberg, Avramopoulos.

L’Unione Europea è in stallo. La tensione fra gli stati membri è tornata dopo che Danimarca, Germania e Svezia hanno introdotto i controlli alle loro frontiere. La misura, adottata per arginare il flusso crescente di migranti, non tiene conto del trattato di Schengen del 1985, quello che prevede la libertà di circolazione all’interno dei confini di 26 stati, 22 membri dell’Ue e quattro esterni.

La Commissione ha convocato un vertice d’urgenza a Bruxelles, il 6 gennaio, per affrontare la questione con i tre Paesi. Ma, dopo due ore di confronto, una soluzione non è stata trovata e i controlli alle frontiere sono rimasti in vigore. Il segretario di Stato tedesco all’immigrazione, Ole Schröder, è stato chiaro: “Gli stati membri devono fare da soli, fin quando non avremo una soluzione comune”. Per quelli che hanno ripristinato i controlli, il problema principale è il numero troppo alto di arrivi di migranti dalle frontiere di Grecia e Turchia.

La Svezia, nello specifico, è il paese che più risente di queste ondate migratorie. Negli ultimi quattro mesi ha ricevuto 115 mila richiedenti asilo. Mentre in Germania entrano 3200 persone al giorno. Dati che creano allarmismo e complicazioni nel coordinare gli arrivi sui diversi territori. L’ha ammesso lo stesso ministro dell’immigrazione svedese Morgan Johansson: “Cominciamo ad avere problemi nella gestione dei flussi, per questo è necessaria una politica europea di condivisione delle responsabilità”.

La soluzione, per tutti, è quella di ridistribuire i migranti in maniera diversa. Ma un piano d’azione ancora non c’è. Dopo il vertice di Bruxelles, il commissario all’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha dichiarato di aver concesso “misure eccezionali al minimo necessario per poi poter tornare alla normalità”. I controlli alle frontiere rimangono negli stati che li hanno ripristinati a patto che Schengen venga salvaguardato.

Federica Villa