Dipendenti pubblici senza stipendio, rifiuti nelle vie di Washington che restano nei cassonetti, parchi pubblici chiusi. È lo shutdown, il blocco nell’amministrazione degli Stati Uniti che si verifica ogni volta che presidente e Congresso non sono d’accordo sulle risorse finanziarie del bilancio federale del Paese. La richiesta di 5,7 miliardi per la costruzione del muro al confine con il Messico, voluto da Donald Trump e osteggiato dai democratici che hanno la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, ha prodotto lo shutdown più lungo della storia degli Stati Uniti.

Il quadro istituzionale. Ogni anno il Congresso americano ha l’obbligo di approvare la legge sul bilancio che dispone il rifinanziamento delle attività amministrative. Tutti gli stanziamenti che formano la spesa pubblica vanno approvati da entrambi i rami del Congresso (Camera dei Rappresentanti e Senato), ma non entrano in vigore se il Presidente decide di esercitare il diritto di veto. In questo caso il Congresso ha l’obbligo di ridiscutere la proposta di legge e può riapprovarla identica con una maggioranza dei due terzi. Altrimenti, se non si riesce ad approvare la legge di bilancio entro la fine del periodo fiscale in corso, si verifica lo shutdown, una procedura di sospensione di tutte le attività tranne quelle essenziali, regolata dall’Antideficiency Act.

I precedenti. Non è la prima volta che negli Stati Uniti si verifica lo shutdown da quando, nel 1870, è in vigore l’Antideficiency Act. Il primo blocco delle attività amministrative si verificò durante la presidenza di Gerald Ford nel 1976, ma le conseguenze furono minime perché questa legge veniva interpretata in maniera meno rigorosa. La situazione cambiò quando, tra il 1980 e il 1981, il procuratore generale Benjamin Richard Civiletti pubblicò due interpretazioni più severe della legge. Gli enti pubblici si adeguarono a quanto detto da Civiletti e di conseguenza cessarono le proprie attività prive di copertura finanziaria, tranne per quei servizi dove vi fosse un «ragionevole e articolabile legame con la sicurezza della vita umana o la tutela della proprietà». Dal 1976 lo shutdown si è verificato 18 volte e la precedente durata massima era stata di 21 giorni, durante la presidenza di Bill Clinton.

Le conseguenze. Il blocco delle attività dal 22 dicembre 2018 sta costando 1,2 miliardi a settimana, come riporta l’Ansa. La cifra rappresenta solo lo 0,05% del Pil, ma potrebbe essere tra i fattori che impedirebbero il raggiungimento del 3% di crescita. Non sono stati finanziati 9 dipartimenti su 15, tra i quali agricoltura, sicurezza interna, trasporti, interni e giustizia. Inoltre lo shutdown potrebbe costare oltre mezzo miliardo in produttività persa dato che 350 mila dipendenti federali sono costretti a rimanere a casa senza stipendio. Altri 400 mila lavoratori, invece, sono costretti a lavorare senza essere pagati e si trovano in una sorta di “schiavitù volontaria”, come afferma l’Atlantic, dato che negli Stati Uniti non è previsto il diritto di sciopero per gli impiegati federali dei servizi “essenziali”. I loro sindacati, però, hanno fatto causa al governo per violazione del Fair Labor Standards Act del 1938 poiché ai lavoratori non viene data nemmeno la paga minima. Per trovare i fondi per il muro Trump sta pensando di dichiarare l’emergenza nazionale, ma i democratici farebbero ricorso in quanto non reputano così grave la questione dell’immigrazione al confine con il Messico.