L'Albania si è rifiutata di far smaltire le armi chimiche siriane sul proprio territorio.

Lo smaltimento dell’arsenale chimico di Assad è una questione ancora aperta

Dopo il gran rifiuto albanese, ora si pensa a delle piattaforme in acque internazionali. Intanto il problema dello smaltimento degli ordigni siriani sta diventando un caso. Liberarsi di 1.300 tonnellate di sostanze altamente tossiche, usate per il confezionamento di armi chimiche, non è un lavoro semplice.

Il problema è irrisolto da quando Bashar el-Assad ha accettato di consegnare il suo arsenale chimico e di aderire al bando internazionale di questi ordigni. Approvata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la procedura è guidata dall’Opcw, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche che ha censito e catalogato il materiale nelle mani di Assad. Ma come procedere e soprattutto dove trasportare le sostanze per poterle neutralizzare e distruggere pare sempre più complicato.

In particolare dopo che il governo di Tirana, messo alle strette dalle accese proteste popolari scatenatesi davanti alla sua sede, ha negato il permesso a smaltire l’arsenale incriminato sul suolo albanese. Un bel problema per l’Opcw e la diplomazia internazionale, che davano per scontato il parere favorevole del premier Edi Rama. Ed ecco a questo punto l’ipotesi di distruggere l’arsenale chimico di Assad in mare, su una nave o su una piattaforma. Un’esclusiva Reuters ha rilanciato questa idea, proveniente dagli uffici dell’organizzazione a L’Aja, in Olanda. Le acque internazionali permetterebbero di aggirare le resistenze dei singoli Stati e le proteste dei cittadini. I due piani ideati per distruggere l’arsenale tossico, annunciati dal Segretario di Stato americano John Kerry, sarebbero quelli di bruciarlo a temperature elevatissime o neutralizzarlo con altre sostanze.

Nessuna decisione è stata ancora presa. “L’unica cosa certa è che è tecnicamente fattibile”, ha dichiarato un tecnico dell’Opcw. Che ha poi aggiunto: “Altri Stati, per esempio il Giappone, hanno gestito armi chimiche in mare”. Mai, però, in queste quantità: 1.300 tonnellate di gas tossici come sarin e mustard non sono mai stati smaltiti. Il materiale siriano richiederebbe poi un trattamento ben più complesso di quello per le bombe risalenti alla seconda guerra mondiale, quelle che il Giappone trovò sul fondo del mare e distrusse al largo del porto di Kanda dal 2004 al 2006. Quelli erano ordigni finiti il cui smaltimento non produsse emissioni o liquidi di scarto, I materiali tossici siriani invece sono dei “precursori” – delle sostanze di base, delle materie prime – stoccati per produrre armi chimiche in un secondo tempo. Bruciarli o neutralizzarli per idrolisi produrrebbe in entrambi i casi dei fluidi tossici. Da smaltire a loro volta, con lo spiacevole rischio di contaminare le acque del mare.

Federico Thoman