“Il regime di Assad cadrà entro sei mesi”, scrive il 17 gennaio la stampa turca, riportando le indiscrezioni trapelate dai colloqui dei diplomatici di Ankara ed esponenti dell’amministrazione di Obama. A confermare che la fine del presidente siriano Bashar al Assad è vicina sono i dati forniti dagli interlocutori americani: l’80 per cento del paese sarebbe nelle mani dei ribelli, come anche il 40 per cento della capitale Damasco.
Ma intanto in Siria continua la guerra civile e ogni giorno sale il numero delle vittime. Secondo l’ultimo bilancio dell’ONU – pubblicato il 2 gennaio 2013 – a causa del conflitto sono morte circa 60 mila persone. Il 17 gennaio l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria ha denunciato un altro massacro di civili. Nella strage, che secondo l’ong è avvenuta il 15 gennaio, sarebbero stati uccisi più di cento civili, molti dei quali bambini. L’esercito governativo ha attaccato l’area agricola di Basatin al Hasawiya, vicino a Homs, la roccaforte dei ribelli, massacrando intere famiglie.
Anche da Damasco sono arrivate notizie sulle numerose vittime dei bombardamenti condotti dalle forze governative nei sobborghi della capitale. Secondo quanto riferiscono i Comitati locali di coordinamento (Lcc) dell’opposizione, tra la notte del 16 gennaio e la mattina del 17 sarebbero state uccise 26 persone. I bombardamenti hanno interessato soprattutto la cittadina di Daray. In un contrattacco i ribelli avrebbero abbattuto un jet governativo impegnato nei bombardamenti.
Continuano anche le diserzioni dei militari siriani in Turchia, uno dei principali Stati che sostengono i ribelli sunniti in Siria. La mattina del 17 gennaio otto militari siriani accompagnati da 13 famigliari hanno passato il confine della zona di Yayladagi, vicino ad Antiochia. Sono stati trasferiti dalle autorità nel campo di Apauydin che secondo l’opposizione turca è una base dei ribelli sunniti siriani.
Anna Lesnevskaya