Le barricate dell'Euromaidan

Le barricate dell’Euromaidan

«Dobbiamo fare quello che fanno i familiari, sostenere la nostra sorella nei momenti di difficoltà». Così, da buon padre di famiglia, il presidente russo Vladimir Putin ha difeso, durante la conferenza di fine anno, la scelta di richiamare sotto l’ala protettiva della grande madre Russia la vicina Ucraina. Dopo quasi un mese di indecisione tra Bruxelles e Mosca, la figlia prodiga Kiev è tornata all’ovile russo attratta dalla proposta più che generosa del Cremlino. La decisione ucraina riassume il dilemma che stanno vivendo tutti quegli “stati cuscinetto” dell’ex blocco sovietico, contesi dalla Russia e dall’Ue, come Azerbaijan, Moldavia, Georgia e Armenia.

Prezzi stracciati sulle forniture di gas russo, passato da 400 a 268,5 dollari per metri cubi, e un prestito di 15 miliardi di dollari sotto forma di acquisto di eurobond ucraini. È quanto prevede l’accordo stretto a Mosca il 17 dicembre tra il presidente ucraino, Viktor Yanukovich, e Putin. Secondo la versione ufficiale, l’unica condizione posta da Mosca è un interesse del 5% sul prestito. La sensazione di molti, in Ucraina, invece è che ci sia una clausola segreta che permetta al colosso energetico russo Gazprom di mettere finalmente le mani sopra la rete dei gasdotti ucraini, come del resto è già successo nella vicina Bielorussia. «Yanukovich ci ha venduti. Ognuno di noi dovrà ripagare il debito contratto alla Russia», è l’accusa lanciata da Oleg Tyagnibok, leader del partito nazionalista Svoboda. «Con questo accordo il presidente ha ipotecato l’industria agroalimentare, aereospaziale  e navale per tappare i buchi di bilancio». Tyagnibok riassume i sentimenti che si respirano a Maidan, piazza centrale di Kiev, dove da quattro settimane gli ucraini stanno manifestando contro la retromarcia sulla firma dell’accordo di associazione con l’Ue. La Russia ha vinto diplomaticamente, come aveva già fatto con la questione siriana, mentre l’Europa ha perso la sfida con Putin. A rimetterci è il popolo ucraino, stanco della corruzione delle élite e di essere in balia del potere straniero.

La firma dell’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Ue doveva essere il punto focale del vertice di fine novembre a Vilnius del partenariato orientale. Il progetto era mirato ad estendere l’integrazione con l’Unione ad alcune ex repubbliche sovietiche della periferia est europea, Azerbaijan, Moldavia, Georgia, Armenia e Ucraina. Con l’associazione, l’Ue offriva l’apertura delle frontiere doganali e la creazione di un’area di libero scambio, oltre alla mobilità lavorativa dei cittadini. In cambio chiedeva agli Stati firmatari un adeguamento economico e un allineamento a Bruxelles in materia di diritti civili. Alla fine solo la Georgia e la Moldavia hanno fatto un passo avanti in direzione della firma dell’accordo. L’Armenia e l’Azerbaijan si erano già tirate indietro sotto le pressioni della Russia che coltiva un progetto alternativo all’Ue, l’Unione eurasiatica, per ricreare quello che fu l’impero sovietico. L’Ucraina era il tassello chiave tanto del partenariato orientale, quanto del grande progetto eurasiatico, fermo ora all’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan.

L’Europa si deve invece accontentare della Moldavia, che dovrebbe sottoscrivere l’accordo definitivo nell’autunno 2014. In compenso Chisinau ha ottenuto da Bruxelles la promessa di abolire il regime dei visti e di aprire le frontiere ai moldavi. Una consolazione per la guerra doganale intrapresa dalla Russia. Mosca infatti a settembre ha bloccato l’importazione del vino moldavo. Un problema non da poco, visto che l’abolizione delle quote sul prodotto prontamente proposta dall’Europa non sarà sufficiente a compensare la perdita del mercato russo, come spiega anche una battuta di Putin: «Se il vino moldavo sbarcasse sul mercato europeo, Francia e Italia lo verserebbero subito nei fossi”.

Con l’adesione all’accordo di associazione, l’Ucraina avrebbe rischiato di trovarsi nella stessa situazione della Moldavia. Un’area di libero scambio con l’Ue sarebbe entrata in conflitto con quella già esistente tra i Paesi della Csi, la Comunità degli Stati indipendenti che raggruppa Paesi dell’ex blocco sovietico. Putin, infatti, aveva minacciato già a settembre di alzare i dazi doganali, che ora godono di agevolazioni, per proteggere il mercato russo. Per l’Ucraina sarebbe stato un duro colpo, visto che l’export verso la Russia ammonta al 30% del totale. L’apertura del mercato europeo avrebbe compensato la chiusura di quello russo, anche se secondo gli esperti l’Ucraina non avrebbe retto la concorrenza dell’industria europea.

Non è stato solo questo ad aver dissuaso Kiev. hanno contribuito anche i negoziati con l’Fmi, mai andati in porto, per un prestito di 20 miliardi di dollari, necessario per evitare il default del Paese e per il quale Yanukovich sperava nell’intercessione dell’Unione.

Fin dall’inizio, il “gioco a somma zero” in cui l’Ucraina era costretta a scegliere tra l’offerta europea e quella russa sembrava destinato al fallimento. Per un Stato come quello ucraino, però, storicamente diviso tra una parte orientale che nella Russia vede il suo punto di riferimento economico, e una occidentale che risente ancora del suo passato austroungarico, la scelta avrebbe comportato una spaccatura del Paese. «Mi piace il cinema europeo, il blues americano e la letteratura classica russa. Non voglio scegliere. Amo l’Ucraina», ha twittato nei giorni caldi della protesta Svyatoslav Vakarchuk, leader del gruppo musicale Okean El’zi, che nel 2004 aveva sostenuto la rivoluzione arancione e che ora ha cantato all’Euromaidan. Qui, secondo il musicista, la gente non sta protestando soltanto per sostenere l’Europa, ma soprattutto per ripristinare la dignità nazionale e costringere le istituzioni corrotte a rispettare i propri cittadini, «sia quelli europei che quelli filorussi», conclude Vakarchuk. A differenza di dieci anni fa, infatti, non si tratta solo di far valere un candidato politico o l’altro: in gioco c’è l’indipendenza dell’Ucraina, la sua sovranità nazionale.

Alla fine, l’intera vicenda si è trasformata in un’occasione persa per l’Europa che avrebbe potuto costruire attraverso l’Ucraina un legame più stretto con la Russia. L’Unione europea poteva accompagnare Kiev verso la modernizzazione, una maggiore trasparenza e un’apertura sui diritti civili, ma non è riuscita a investire le risorse adeguate per risollevare la disastrata economia ucraina. Cosa che invece Mosca ha saputo fare spingendo l’Ucraina verso l’Unione doganale. Un progetto che nasce, secondo uno dei padri fondatori dell’Ue Romano Prodi, proprio dal tentativo di Putin di tutelarsi da Bruxelles che nei rapporti con la Russia ha fatto passare un messaggio ambiguo. Fino a sfidarla, senza successo, in quel che considera casa sua, ossia l’Ucraina.

Angela Tisbe Ciociola e Anna Lesnevskaya