Domenica 23 luglio, ore 23.30. Tre ore e mezza dopo la chiusura dei seggi, lo scrutinio è praticamente concluso. A Madrid la calle de Ferraz, dove ha sede il Partito socialista spagnolo (Psoe), si riempie di militanti e di sostenitori che sventolano le bandiere rosse del partito. Pedro Sánchez è arrivato da pochi minuti e il suo discorso è atteso a breve. Quando parte la musica la folla canta all’unisono «Quédate» (“Rimani”), rivolgendosi direttamente al presidente: gli stanno chiedendo di restare per un altro mandato. Smentendo le previsioni della maggior parte dei sondaggi, infatti, il Psoe non ha subito un crollo nelle urne e anzi ha migliorato il risultato di quattro anni fa: con il 31,7% dei voti ha conquistato 122 seggi, due in più del 2019.
A pochi chilometri di distanza, in calle de Génova, anche il Partito popolare (Pp) sta festeggiando il risultato, ma con l’amaro in bocca: grazie al 33,1% dei consensi sarà la prima forza politica nel prossimo Parlamento, ma i 136 seggi incassati sono ben al di sotto dell’obiettivo di 150 deputati che si era prefissato il leader Alberto Núñez Feijóo. Delusione evidente invece per Vox: fermo al 12,4%, il partito di Santiago Abascal potrà contare solo su 33 deputati, 19 in meno del 2019. L’unica consolazione per l’ultradestra è quella di aver superato Sumar, la neonata formazione di sinistra radicale guidata dalla vicepremier Yolanda Díaz: il suo progetto politico esordirà in Parlamento con 31 seggi, frutto del 12,3% raccolto alle urne. Con questi numeri tramonta l’ipotesi di un governo delle destre, troppo lontane dalla maggioranza assoluta richiesta (176 seggi). Tuttavia, anche per la sinistra la strada è in salita: per rinnovare l’esecutivo progressista sarebbe necessario convincere tutti i partiti regionalisti e indipendentisti, che hanno già avvisato Pedro Sánchez che non gli daranno la fiducia «senza nulla in cambio».
La sorpresa Psoe – La tenuta del Partito socialista non era scontata. Alle elezioni amministrative dello scorso maggio il Psoe aveva perso il controllo di molte città e regioni spagnole a vantaggio del Partito popolare, talvolta alleato con Vox. Per questa ragione il presidente Sánchez aveva deciso di anticipare le elezioni nazionali attese per la fine dell’anno, nella speranza di mobilitare l’elettorato di sinistra: «Alcuni credevano che fosse un capriccio dovuto alla sconfitta, ma in realtà era un calcolo politico ben pensato», spiega Andrea Donofrio, professore di Storia del pensiero politico contemporaneo all’Università Complutense di Madrid. «Soprattutto l’ultima settimana di campagna elettorale, che è stata disastrosa per il Pp, ha riacceso nella sinistra la speranza della remontada», prosegue Donofrio. L’assenza di Feijóo nell’ultimo dibattito televisivo, le accuse di aver mentito agli spagnoli sull’operato del suo partito e alcune foto che lo ritraggono in vacanza con un noto narcotrafficante hanno ridimensionato il successo dei popolari alle urne. Al contrario, gli elettori di sinistra si sono riavvicinati al partito di Sánchez: «L’impressione è che l’elettorato avesse già castigato il Psoe alle amministrative, per cui adesso era il momento di tornare a dargli fiducia», analizza Donofrio. La mobilitazione della sinistra da un lato e la speranza di cambiamento dall’altro hanno portato l’affluenza a superare il 70% (in crescita rispetto al 2019), nonostante il caldo e il periodo di ferie.
Bloqueo – La rimonta dei socialisti ha messo in crisi l’ipotesi considerata più probabile alla vigilia delle elezioni, quella di una coalizione tra Pp e Vox. I due partiti raccoglierebbero insieme 169 voti sui 176 richiesti per il voto di investitura e nel Parlamento non ci sono altre forze disposte a sostenerli (a eccezione di due deputati regionalisti di area). Feijóo tenterà comunque di governare, chiedendo ai socialisti di astenersi, ma le possibilità di riuscita sono prossime allo zero. D’altra parte, neppure la coalizione di sinistra riuscirebbe a governare da sola: Psoe e Sumar raggiungono 153 seggi, che sommati a quelli dei partiti regionalisti e indipendentisti con cui hanno già stretto accordi in passato portano il totale a 172. Se già questo accordo richiederebbe lunghe trattative, per permettere l’insediamento di un nuovo governo Sánchez sarebbe indispensabile anche l’astensione di Junts per Catalunya, partito indipendentista meno favorevole al dialogo. «Junts si è detto disponibile a negoziare, ma alle sue condizioni. In questo momento si parla del ritorno del leader Puigdemont, tuttora esiliato, e della convocazione di un referendum per l’indipendenza. Spetterà al Psoe decidere se ne vale la pena», spiega Donofrio. Paradossalmente, in questa tornata elettorale i partiti indipendentisti hanno vissuto un forte calo nei consensi, ma il sostanziale pareggio tra destra e sinistra li rende più decisivi che in passato. Se non trovassero un accordo con Psoe e Sumar, infatti, l’unica opzione sarebbe la ripetizione elettorale, scenario che al momento nessuno si augura: «A destra Vox teme di perdere ancora più consensi a vantaggio del Pp, mentre Feijóo sente che la sua leadership potrebbe essere messa in discussione, per esempio dalla governatrice di Madrid Isabel Ayuso. A sinistra, invece, non ci sarebbe la certezza di una mobilitazione altrettanto forte: quello che vogliono gli elettori è un accordo, non l’instabilità», aggiunge Donofrio.
Il risvolto europeo – A meno di un anno dalle elezioni europee, il voto spagnolo era considerato un banco di prova dei futuri equilibri a Bruxelles. In questo senso, il messaggio di Madrid è chiaro: «È una battuta d’arresto per la destra nello scenario europeo. Un’eventuale vittoria di Vox avrebbe rafforzato la posizione euroscettica, ma alcuni fanno notare che queste tendenze sono presenti anche in una parte del Partito popolare», sottolinea Donofrio. I riflettori dell’Europa sono puntati su Madrid anche per via della presidenza di turno del Consiglio, che dal 1º luglio è passata alla Spagna. Sia Sánchez sia Feijóo si erano detti pronti ad affrontare questo incarico in caso di vittoria, ma la situazione di stallo e il prolungarsi dei negoziati potrebbero andare a discapito del ruolo in Ue. «Molti parlano di un’occasione persa per la Spagna. Il mandato europeo serve anche per dare visibilità sullo scenario internazionale, ma in questo momento passa in secondo piano rispetto alla situazione di incertezza interna. Se poi si dovesse arrivare a una ripetizione elettorale a dicembre (ultimo mese di presidenza), l’azione sarebbe molto limitata in ambito europeo», conclude Donofrio.