È ancora la secessione catalana il punto di collisione nel dibattito politico spagnolo. Il centrodestra è sceso in piazza domenica a Madrid per manifestare contro il presidente socialista Pedro Sànchez, reo di aver proposto la figura di un mediatore nei colloqui tra i partiti politici per affrontare la crisi in Catalogna. Gli indipendentisti, a due anni dal referendum per l’ autonomia, stanno ridiscutendo i rapporti con il governo centrale, ma le richieste dell’opposizione sono di concedere il meno possibile sui negoziati. Il Governo ufficialmente non mostra preoccupazione, sminuendo la mole della protesta, ma nella discussione di mercoledì sulla proposta di bilancio, l’esecutivo avrà bisogno dei partiti catalani per ottenere l’approvazione e allungarsi la vita. In caso di bocciatura Sanchez, infatti, potrebbe anticipare le elezioni. Intanto inizia il processo a 12 leader indipendentisti catalani che rischiano fino a 25 anni di carcere con l’accusa di ribellione e uso improprio di fondi pubblici per il loro ruolo nel fallito tentativo di secessione dalla Spagna del 2017.
La protesta – La Questura ha contato 45mila persone. I protagonisti, il Partito popolare, Ciudadanos e le frange di estrema destra Vox, Espana 2000 e Falange, parlano invece di circa 200mila manifestanti tra le strade di Madrid. Aldilà delle stime, questa è stata la più grande manifestazione contro Pedro Sanchez da quando si è insediato il suo esecutivo a giugno. Un corteo formato da anime diverse e con rivendicazioni variegate. La destra ultra cattolica, ad esempio, ha protestato contro le leggi sui matrimoni gay risalente al governo Zapatero, qualcuno come il presidente di Vox, Santiago Abascal, ha chiesto l’arresto di Quim Torra, presidente regionale della Catalogna. Anche l’ex premier francese, Manuel Valls, ora candidato a sindaco di Barcellona per le comunali di maggio con il sostegno di Ciudadanos, si è unito alla protesta da oppositore convinto dei secessionisti. Tutti sono convinti di una cosa: le concessioni ai catalani sono troppe. La proposta di Sanchez di nominare un relatore nei colloqui è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Situazione catalana – Dopo il fallimento della secessione del 2017, con l’annullamento dei risultati del referendum sull’indipendenza catalana e la sentenza del Tribunale Costituzionale che aveva sancito l’indissolubilità dello stato spagnolo, il governo sta rimodulando i propri rapporti con la Catalogna. Gli indipendentisti avevano inserito della trattativa il ”principio di autodeterminazione” non escludendo la richiesta di un nuovo voto popolare, argomenti che per l’esecutivo sono inaccettabili. Questa settimana inizia anche il processo ai 12 leader indipendentisti catalani accusati di ribellione, appropriazione indebita, e disobbedienza. Non ci sarà l’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, fuggito all’estero nell’autunno del 2017 e attualmente in Belgio.
Settimana decisiva – Il governo, come scrive El Paìs, non è preoccupato dalla dimensione della protesta. Il Globo parla di un Sanchez convinto di non avere ripercussioni per il dialogo con gli indipendentisti. L’esecutivo si mostra sicuro prima di mercoledì, quando si giocherà la partita importantissima della proposta della legge del bilancio: il presidente, al governo dallo scorso giugno con un voto di fiducia, detiene solo un quarto dei seggi in parlamento e fa affidamento sul sostegno del partito anti-austerità Podemos, sui nazionalisti catalani e su altri piccoli partiti. In caso di bocciatura, l’esecutivo avrebbe la prova dell’ingovernabilità e dovrebbe anticipare le elezioni, previste nel 2020.