Kim Jong-un e Donald Trump potrebbero dichiarare la pace durante l’incontro previsto per il 27 e il 28 febbraio ad Hanoi, Vietnam. Questa l’opinione del portavoce di Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud eletto tra le file del Partito Democratico Unito, attento osservatore dei passaggi della trattativa sulla denuclearizzazione in corso tra Usa e Corea del Nord e sostenitore della fine della guerra. Nonostante la tregua tra le due Coree risalga all’armistizio del 1953, una distensione tra le potenze non si è mai concretizzata, nemmeno formalmente. Secondo il diritto internazionale la fine di una guerra può essere siglata solamente tramite un trattato di pace e non con armistizio e, nonostante il dialogo vada avanti da circa un anno, un documento finale sembra ancora lontano. Al 12 giugno 2018 risale invece il più importante passaggio nel percorso di pace tra Usa e Repubblica popolare di Corea quando, durante il summit di Singapore, iniziò a prender vita l’ipotesi di denuclearizzazione della penisola coreana.

Preoccupazioni – Nonostante i rapporti restino tesi, con lo spettro delle sanzioni inflitte dall’ Onu alla Corea sempre presente, l’incontro potrebbe costituire la svolta nella storia tra i due Paesi. La distensione dei rapporti Washington e Pyongyang sembra però agitare una parte del’opinione pubblica sud coreana. In vista del summit di Hanoi, mercoledì 20 e sabato 23 febbraio parte della popolazione di Seoul, appoggiata da esponenti del partito conservatore, ha iniziato a manifestare malcontento per l’aria di distensione. “Let’s protect the Korea-U.S. alliance, our lifeline, with our lives!” lo slogan ricorrente dei cartelloni che hanno riempito le strade del centro della capitale. A Washington si richiede di non mettere a rischio l’equilibrio, seppur precario, della penisola coreana nel tentativo di soddisfare le richieste di Kim Jong-un. La denuclearizzazione, se mai ci sarà, dovrebbe infatti essere preceduta dal ritiro dei militari statunitensi dal territorio sudcoreano, come già era stato messo in chiaro a Singapore. L’ipotesi preoccupa Seoul, che teme di trovarsi senza alleati sul territorio in caso di ripensamenti del leader nordcoreano.

Costi – Al di là delle richieste da soddisfare per poter arrivare a un accordo con Kim Jong-un, la presenza militare americana in Corea sarebbe a rischio anche per motivi economici. Frequenti negli ultimi mesi le dichiarazioni di Trump che sembrano confermare le voci sul ritiro spontaneo dei 28.500 soldati americani dislocati nel Paese semplicemente perchè ritenuti una spesa non necessaria. Ulteriore motivo di preoccupazione sarebbe il fatto che, negli accordi finora raggiunti tra Stati Uniti e Corea del nord, si è discusso solamente dell’abbandono dei test missilistici per la parte rivolta agli Stati Uniti e non invece per quella rivolta a Corea del sud e Giappone. A creare malcontento sarebbero anche le indiscrezioni secondo cui l’addestramento congiunto tra sudcoreani e marines potrebbe essere a rischio, come sottolinea The Associated Press, con possibili ricadute anche in campo economico. Secondo Moon Seong Mook, analista politico del Korea Research Institute for National Strategy con sede a Seoul, «se la nostra sicurezza vacilla, gli investimenti stranieri saranno dirottati fuori dal paese e i prezzi delle nostre azioni crolleranno».