Alla veglia dopo la strage di Boston

Ordigni fai-da-te, chiusi in semplici pentole a pressione. Ognuna, di capienza 6 litri, è stata riempita di fertilizzante e di un solvente di quelli che si aggiungono al carburante. E poi di chiodi, viti, biglie e schegge di metallo, per far male. Il detonatore forse era un circuito, attivato da un telefonino collegato. Secondo le ricostruzioni, erano contenute in delle borse nere di nylon. Semplici ma letali, per una spesa di 100 dollari, più o meno. Ecco l’identikit delle bombe usate nell’attentato alla Maratona di Boston, che lunedì 15 aprile ha ucciso 3 persone e ne ha ferite 176, tra cui nove bambini.

Bombe simili a quelle usate dalle reclute di Al-Qaeda in Afghanistan e poi a Bombay nel 2006 e – invano – nella fallita autobomba di Times Square del 2010. In quell’anno il magazine yemenita e filo-terrorista Inspire aveva addirittura messo online le istruzioni per fabbricarle. I congegni sono molto pesanti e l’FBI ipotizza che siano stati assemblati non lontano dal centro di Boston. Per realizzarle sarebbe bastato un sol uomo, un fanatico solitario. Gli inquirenti stanno cercando di risalire agli acquirenti delle pentole, prodotte da una ditta spagnola, e stanno anche vagliando fotografie e sui video delle esplosioni fatti dai presenti: “Portateceli”, chiedono, “tutte le informazioni che potrebbero aiutarci. Molte persone, magari inconsapevolmente, potrebbero essere stati testimoni oculari di quello che stava accadendo attorno ai propri amici o parenti ripresi con gli iPhone”. Anche le forze di sicurezza cittadine si sono mobilitate, offrendo 50mila dollari a chi darà informazioni utili all’arresto.

La strage resta ancora senza colpevoli e secondo la Casa Bianca l’indagine “potrà durare a lungo”. E non si esclude l’ipotesi di un singolo autore. In compenso si è scoperta l’identità della terza vittima: si chiamava Lu Lingzi, era cinese. La famiglia non voleva diffondere il suo nome ma il tabù è stato infranto dalla Phoenix Television di Hong Kong, così la rete si è riempita di messaggi di condoglianze: “Il terrorismo non conosce frontiere, condanniamolo tutti insieme”, scrivono dalla Cina, “riposa in pace”.

Cordoglio analogo a quello che l’America ha espresso per le altre due vittime, identificate nella serata di ieri: Krystle Campbell, 29 anni, che abitava nel nord della città, e Martin Richard, 8 anni, di Dorchester, che aspettava suo papà al traguardo con la mamma e la sorella. La città piange i suoi morti e in serata il presidente Obama si unirà ai bostoniani nella veglia per le vittime, al War Memorial della Newton City Hall.

A livello nazionale, resta altissimo il livello di sicurezza. A Washington ieri si è verificato un nuovo, meno eclatante, attentato, che ha colpito il senatore Roger Wicker, repubblicano del Mississipi. A Wicker è stata recapitata una lettera alla ricina (un veleno letale) tempestivamente intercettata dalla sicurezza. L’hanno comunicato il ministro per la Sicurezza Interna Janet Napolitano e il direttore dell’FBI Robert Mueller. Il mandante anche in questo caso resta ignoto, ma si sospetta che Wicker possa essere stato preso di mira per aver appoggiato le ultime restrizioni in materia di armi voluta dal presidente Obama (dopo un’altra strage, all’asilo del Connecticut). Non è chiaro se e come questo attentato ad personam possa essere messo in relazione con i fatti di Boston; anche dopo l’11 Settembre, ad ogni modo, furono spedite lettere all’antrace al Congresso di Washington. Dal dipartimento di Sicurezza, però, spiegano che ad ora non c’è indizio di “un collegamento straniero o di una reazione di al Qaeda”.

Eva Alberti