Un altro attacco in Kenya. Altre persone giustiziate perché non musulmane. A dieci giorni di distanza dalla strage che ha causato la morte, il 22 novembre scorso, di 28 passeggeri di un autobus di linea, al-Shabaab torna a colpire e a minacciare nuovi attentati. Nella notte di martedì 2 dicembre il gruppo terroristico somalo ha ucciso 36 lavoratori di una cava di Koromey, nella contea di Mandera, al confine con la Somalia. E ha poi “promesso” nuovi attacchi. Un clima di tensione e paura nella zona di confine, dove soltanto il giorno prima un altro attentato, questa volta in un bar di Wajir, aveva causato un morto e tredici feriti.
La strage è stata una vera e propria imboscata. Il gruppo armato, affiliato ad al-Qaeda, ha attaccato nella notte, verso l’una ora locale, mentre i lavoratori stavano dormendo. Un residente ha raccontat: “Le vittime sono state allineate a terra, prima di essere colpite alla testa e al petto con arma da fuoco da distanza ravvicinata. Quattro corpi erano decapitati. Erano tutte persone non del posto che lavoravano in un cantiere locale”. La matrice religiosa è evidente: le vittime sono tutte non musulmane. I lavoratori di fede islamica sono stati risparmiati.
Il confine con la Somalia, territorio largamente controllato dal gruppo islamista, è da tempo teatro di scontri tra il gruppo armato e le forze di sicurezza keniote. Il 22 novembre scorso l’altra strage: 28 passeggeri di un autobus giustiziati per non essere riusciti a leggere alcuni versetti del Corano. Colpevoli, quindi, di non essere musulmani. Immediata la risposta delle forze di sicurezza del Kenya, che hanno inseguito i miliziani, uccidendone un centinaio. Una spirale di violenza che si protende dal 2011, quando il governo del keniota ha deciso di partecipare alla lotta armata contro i militanti quaedisti della confinante Somalia.
Gabriele Nicolussi