Continuano le proteste e le violenze in Sudan. Nella mattina di ieri, domenica 9 giugno, sono morte almeno 4 persone durante le manifestazioni di disobbedienza civile che si stanno svolgendo a Khartoum, capitale dello Stato africano. A renderlo noto è il Comitato centrale dei medici sudanesi, vicino all’opposizione che da mesi manifesta per chiedere la transizione da un governo militare a uno civile che possa portare il Paese a elezioni democratiche. Dallo scorso 3 giugno, quando le forze paramilitari hanno iniziato a reprimere con la violenza il sit in pacifico che i civili stavano portando avanti di fronte alla sede generale dell’esercito, i morti accertati sono 118.

Escalation di violenza – Il bilancio del primo giorno di disobbedienza civile inaugurato dall’opposizione dell’Alleanza per la democrazia e la libertà contro il governo del Consiglio militare di transizione è di almeno 4 morti. Secondo quanto riferiscono i medici che si oppongono al regime militare, l’esercito avrebbe disperso la folla di manifestanti pacifici sparando e utilizzando gas lacrimogeni. Il movimento di protesta sta cercando di bloccare il Paese in modo da renderlo ingovernabile e spingere i militari a velocizzare la procedura di transizione democratica. Oltre ad aver creato delle barricate nelle vie di Khartoum, la capitale del Sudan, i manifestanti hanno chiesto a tutto il popolo di non uscire dalle proprie case e di non andare più al lavoro, proclamando una sorta di sciopero che dovrebbe paralizzare in particolare le attività più importanti per il funzionamento della città: aeroporti, centrali elettriche e banche.

Fallite tutte le trattative – La decisione dei cittadini nasce come risposta alla violenta repressione che i militari stanno portando avanti dallo scorso 3 giugno, giorno in cui, per disperdere migliaia di manifestanti, i militari hanno iniziato a sparare sulla folla, causando 326 feriti e 101 morti. Da quel giorno, come riporta La Stampa, sono stati ritrovati almeno 40 corpi nel Nilo e arrestate almeno 800 persone, tra cui funzionari della Banca centrale. La nuova ondata di proteste nasce dal mancato successo della trattativa tra la società civile e i militari alla guida del Paese ormai dallo scorso 11 aprile, giorno della deposizione del dittatore Omar-al Bashir, in carica dal 1989. Inizialmente, l’esercito aveva promesso che il governo sarebbe passato ai civili e che ci sarebbe stata una gestione dell’esecutivo condivisa. Tuttavia, le trattative sono fallite e i militari hanno annunciato nuove elezioni entro nove mesi, alimentando così la rabbia dei civili e arrivando ai conflitti degli ultimi giorni.

La risposta della comunità internazionale – La repressione delle dimostrazioni pacifiche è stata duramente criticata dall’African Council of Religious Leaders-Religions for Peace (ACRL-RfP). In una dichiarazione firmata da John Onaiyekan, Co-presidente dell’istituzione e  Arcivescovo di Abuja (Nigeria), il Cardinale ha chiesto ai  «militari sudanesi di fermare gli attacchi ai centri sanitari, sostenere lo Stato di diritto e liberare tutte le persone detenute senza processo». Intanto, il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana ha sospeso il Sudan da qualsiasi attività, condannando duramente la violazione dei diritti umani che i militari stanno portando avanti. Anche l’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, è intervenuta sul tema. Secondo l’organizzazione, in Sudan si starebbero verificando violenze e stupri nei confronti delle operatrici sanitarie, nonché furti di attrezzature mediche necessarie ad assistere i feriti. Per questo, in una nota diffusa dall’Onu, ha chiesto «l’immediata cessazione di tutte le attività che mettono a rischio la vita del personale sanitario e dei pazienti e interrompono la fornitura di servizi sanitari essenziali».